Il nostro incontro con Abel Ferrara, regista di Zeros and Ones in Concorso al Locarno Film Festival 2021. 

Poche ore dopo l’anteprima del suo Zeros And Ones, film oscuro e post-apocalittico in una Roma deserta e travolta dalla pandemia e da una guerra imprecisata, presentato in Concorso Internazionale al Festival di Locarno e vincitore del premio per la Miglior Regia, abbiamo incontrato il grande regista Abel Ferrara. Ecco quello che ci ha raccontato.

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Il regista Abel Ferrara sul red carpet del Locarno Film Festival 2021 © Tosi Photography.

MASEDOMANI: In apertura di Zeros And Ones abbiamo visto un’introduzione in cui il suo protagonista Ethan Hawke sottolineava l’importanza del film e del fatto che parli così vividamente dell’epoca che stiamo vivendo…

ABEL FERRARA: Quella che avete visto non è un’introduzione allegata al film, ne è una parte vera e propria. Ed è una riflessione che Ethan ha avuto e registrato appena ha letto lo script, ormai un anno fa, ben prima di cominciare le riprese.

MSD: Delle riprese che sono profondamente contestualizzate al periodo Covid. Molti suoi colleghi in recenti interviste hanno detto di voler eliminare mascherine ed altri simboli contingenti nei loro film. Lei ha preso la direzione opposta…

ABEL FERRARA: Come si può evitare di rappresentarli? Voglio dire, questo è il mondo oggi e la genuinità di un film deve includere questi elementi. Non si può far finta che non sia successo, che non stia succedendo. Anche la scena di un bacio deve mutare (in una sequenza di Zeros And Ones, due attori si baciano attraverso le mascherine ndr), perdendo da un lato determinate caratteristiche ma acquisendone altre, anche di forte impatto. Più il presente fa paura, più il cinema ne deve parlare.

MSD: Difatti anche Roma, scenario delle vicende, è quella notturna e tragicamente deserta del 2020.

ABEL FERRARA: Per lo stesso motivo, era insensato raffigurare persone che camminavano tranquillamente o che svolgevano i propri lavori, erano dinamiche che in quel momento non potevano risultare reali o credibili.
Ampliando il discorso, lo stesso lavoro sul set richiedeva differenti attenzioni e priorità: ti basti pensare che alcuni membri della crew erano persone ultrasettantenni che non si potevano e dovevano sottoporre a rischi, io stesso stavo per compiere settant’anni (lo scorso 19 luglio ndr) e avevo la consapevolezza di rischiare la vita ogni minuto. Quando capisci questo, capisci che il tuo lavoro ed il tuo approccio al film devono cambiare radicalmente di conseguenza. E’ sopravvivenza.

MSD: Sopravvivenza è anche la parola chiave di Zeros And Ones e del suo solitario protagonista, il soldato interpretato da Hawke

ABEL FERRARA: Il cinema, perlomeno il mio, ha l’urgenza di riflettere la realtà e le sue paure. In questo caso, la solitudine di un uomo, giochi di potere e guerre, un gruppo di scienziati nel loro laboratorio che in gran segreto cercano un’arma per salvare o al contrario distruggere l’umanità.

MSD: Quindi il progetto è nato prima della pandemia e non era cucito su misura attorno all’elemento di contagio?

ABEL FERRARA: Esatto, il film è nato un po’ di tempo prima come film di controspionaggio. E’ un genere con cui io e molti colleghi della mia generazione siamo cresciuti, sai, l’archetipo del soldato americano ribelle che deve muoversi nell’ombra, tra minacce di vario tipo. Poi ho sentito la necessità di coniugare questa idea embrionale con l’elemento pandemico, che appunto parlando di minacce è quella che sentiamo maggiormente ora e sentiremo negli anni a venire.

Christina Chiriac, actress, Zero and Ones, Concorso Internazionale at the 74 Locarno Film Festival, Locarno, Thursday 12 August 2021.

Christina Chiriac, actress, Zero and Ones, Concorso Internazionale at the 74 Locarno Film Festival, Locarno, Thursday 12 August 2021. © Locarno Film Festival / Ti-Press / Marco Abram.

MSD: Una delle scene più crude e memorabili del film vede il personaggio di Hawke subire la tortura dell’annegamento simulato, il waterboarding…

ABEL FERRARA: Certo, è una tortura, ma credimi è una pratica comune nell’addestramento militare americano. E tra gli attori e nella crew avevo molti ragazzi che hanno fatto servizio militare negli States, così come degli ex berretti verdi e loro possono raccontarti che venivano svegliati nel cuore della notte per essere sottoposti a questo tipo di cose e molte altre. E’ una scena molto più aderente alla realtà di quanto pensi! Nel film è uno degli strumenti di interrogatorio che usano i cattivi, ma è qualcosa di molto meno apocalittico di quanto tu o il pubblico possiate pensare. Non è un’arma molto diversa da una pistola. O se vuoi, di un virus lanciato nel mondo.

MSD: Una pratica che però mi ricorda le guerre “imperialiste” come quella in Iraq.

ABEL FERRARA: Hai ragione, ed era la connotazione che volevo dare allo stato militare in cui versa l’universo violento ed ipercontrollato del film.

MSD: Mi ha molto colpito il modo in cui ha rappresentato Roma, con spaccati cupi, totalmente immersi nell’oscurità, una città in qualche modo sporca. Qualcosa che mi ha riportato al cinema di genere degli anni settanta italiano ben distante dalle luci, dal glamour e dalle feste di molti film “romani” recenti. E anche dagli anni di vuoto che ci sono stati in mezzo.

ABEL FERRARA: Gli anni di Berlusconi, eh? (ride ndr) Beh se mi dici questo sono molto contento, perché ho grande stima ed amore per quel periodo e per i registi che lo hanno animato. Ed erano registi che definisco Autori proprio perché avevano una loro visione, un’identità registica ed estetica precisa.
Il mio è un film di guerra, un film dark dove niente è luminoso o di chiara interpretazione, si basa sul mistero e l’ambiguità. Il protagonista vaga e pone domande, perché non ha, ancora, delle verità. Roma doveva essere decadente, sporca, aggressiva. E se paragoni queste atmosfere al cinema di genere italiano sono orgoglioso, perché volevo fare un film di genere. Il genere come detto è quello dello spionaggio e controspionaggio. Dove “sì” significa “no”, dove l’amico si rivela nemico e viceversa. Dove tutto ha una doppia faccia e non è quello che sembra.

MSD: Il direttore della fotografia di Ones And Zeros è Sean Price Williams, che ha lavorato anche coi Safdie Brothers in Good Time. Un film che ho trovato somigliante al suo, per alcuni aspetti…

ABEL FERRARA: Sì, ci sono delle atmosfere e dei ritmi simili, è un film che ho apprezzato molto. Ed è un buon film anche per l’apporto di Sean, che è un direttore della fotografia che conosco da parecchi anni e con cui avevo già lavorato in The Projectionist nel 2019. Credo sia un artista capace di catturare l’aspetto del presente e delle sue minacce, un’estetica raffinata a livello artistico ma anche molto realistica e capace di intrappolare immediatamente nelle atmosfere del film.

MSD: Williams non è l’unico suo collaboratore di lunga data. Il che potrebbe sorprendere, considerando alcune leggende secondo cui lei sul set ha un bel caratteraccio…

ABEL FERRARA: (ridendo ndr) Nooo! Chi dice queste cose? In realtà lavoro con alcuni membri della crew e produttori da oltre quarant’anni quindi… Però esigo molto, sempre, da tutti. Forse è questo che alimenta quei racconti.

MSD:  Vive a Roma ormai da parecchio tempo, la prospettiva europea del cinema e dell’arte ha cambiato il suo modo di fare film?

ABEL FERRARA: Sì, decisamente. In Europa credo ci siano una nobilitazione ed un rispetto maggiori sia degli artisti che del pubblico rispetto agli Stati Uniti e in particolare al cosmo hollywoodiano. Negli U.S.A. ci sono molte ombre, molte necessità di apparenza che considero limitanti, spesso lo show business diventa un gioco a chi ha la macchina più grande, non a chi realizza l’opera migliore, più interessante o più coraggiosa…
Prima hai citato i registi italiani di genere, vedi loro erano considerati autori e rispettati come tali, così come veniva e viene rispettata la loro visione autoriale. Credo sia anche frutto della longeva tradizione artistica e culturale di molti paesi europei, che l’America non ha.
Guarda ad esempio quanto è difficile reperire i miei film in America, sia al cinema che nell’home video, rispetto all’Europa!

MSD: Crede sia possibile che una parte di pubblico non sia ancora pronta a immergersi in un racconto così esplicitamente connotato rispetto al Covid?

ABEL FERRARA: Beh, che cosa aspettano? Siamo in questo stato da due anni! Bisogna prenderne consapevolezza, assimilare questo momento. Domani potrebbe arrivare una nuova variante e ucciderci tutti, e questa sarebbe l’ultima intervista sia mia che tua. Quindi consideriamo già una benedizione il fatto di esserci, di fare e vedere film. Come dicevamo all’inizio, il cinema deve vivere e raccontare il presente, anche se è uno dei più cupi di sempre.

MSD: Quando ha iniziato a lavorare a Zeros And Ones?

ABEL FERRARA: Dalla scorsa estate. E’ stata una produzione molto rapida.

MSD: Qual è stata la sua produzione più lunga invece?

ABEL FERRARA: Siberia, uscito l’anno scorso. La produzione per quel film è stata faticosa, è durata 4 anni. Anzi no, credo che in tutto la produzione di Pasolini sia durata quasi diciotto anni!

MSD: E nel futuro cosa ci dobbiamo aspettare?

ABEL FERRARA: Un film su Padre Pio, figura che sarà interpretata da Shia LaBoeuf. Poi, un documentario su Patti Smith, una persona ed artista che amo alla follia. Infine, sto girando un film con Asia Argento, ma per ora posso dirti solo una cosa: che lei interpreterà… me!

MSD: Sono molti progetti! Scrivere e girare per lei è qualcosa di strettamente ponderato o più vicino a un’urgenza fisica?

ABEL FERRARA: E’ una necessità fisica, che striscia sottopelle, così è stato anche nel caso di Zeros And Ones. C’era la pandemia, c’era la paura, c’erano mille limitazioni. Sapevo che era pericoloso, anche per la mia stessa salute. Ma dovevo girarlo, subito. Mi chiamava.

Luca Zanovello

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Ultimo aggiornamento: il 15.08.2021, ore 15.30