Recensione di VORTEX, il sorprendente nuovo film del regista francese in anteprima in Piazza Grande. 

VORTEX di Gaspar Noé. Photo: courtesy of Locarno Film Festival

Una scena di VORTEX di Gaspar Noé. Photo: courtesy of Locarno Film Festival.

La spirale discendente di una coppia anziana, lui malato di cuore (Dario Argento), lei vittima di una malattia neurodegenerativa (Françoise Lebrun).
“La vita è una breve festa che verrà presto dimenticata”

Dopo Cannes, Vortex viene presentato nella cornice di Piazza Grande a Locarno 74.
E’ il sesto lungometraggio di Gaspar Noé ed ancora una volta un film destinato a fare parlare di sé: questa volta, non per i motivi a cui state pensando.

Vortex è infatti un film radicalmente differente dalla precedente filmografia del regista, che mette da parte la sua vis provocatoria, i suoi sprazzi allucinogeni, gli istinti e le cacofonie per immergersi quasi disarmato nella sofferenza dell’invecchiamento e della malattia.

Le avvisaglie c’erano state nel meraviglioso Love (2015), che però accanto ad un mirabile approfondimento del tema portava ancora qualche segno dell’ipercinesi morbosa e dell’ossessione di scioccare del suo autore. In Vortex, la mutazione dei toni e la sensibilità soffusa sono una vera sorpresa, tanto destabilizzante quanto convincente.

Noé realizza una grande opera, completamente in split screen che segue in parallelo i due anziani coniugi in sequenze lunghe con sparuti stacchi per invischiarci irreversibilmente nella drammatica, anzi angosciante, routine medicinale e in deterioramento dei due protagonisti.
Su di loro sono fondate le due ore abbondanti del film e se la prova maiuscola di Françoise Lebrun non fa notizia, è incredibile come un francofono Dario Argento metta a nudo i suoi ottant’anni e lo spettro emotivo del “lucido dei due” in un modo così credibile e struggente.

Nel periodo più assurdo dell’umanità, un altro avvenimento che non ci saremmo mai aspettati: Gaspar Noé che fa commuovere.

Lo fa senza rinunciare alla sua visione scura del mondo, ma senza traccia di sensazionalismo o di scossoni indotti: la declinazione del suo pessimismo è tutta nei movimenti, negli sguardi e nei momenti di reciproco sconforto delle due malandate figure sullo schermo, che muovendosi a fatica nei corridoi di casa e nelle strade di Parigi compongono un dramma che diventa di scena in scena un horror spettrale; quel meccanismo riuscito a The Father (2020), che però in quanto a sconforto in confronto sembra Cocoon.

Vortex è un’opera improvvisamente matura e malinconica, silenziosamente folgorante, dedicata dallo stesso Noé a quelli a cui si distruggerà il cervello prima del cuore. Il bello è che il suo film pugnala entrambi gli organi, così come ha ottime chances di ammaliare sia i suoi avidi seguaci sia qualcuno che fino a ieri non lo poteva sopportare.

Luca Zanovello

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