Dicono che non si tratti di un giallo, e ben guardare hanno probabilmente ragione: il nuovo romanzo di Alessia Gazzola non si innesca su una trama contorta e intricata, un paio di potenziali “sorprese” vengono anticipate dal lettore più accorto, e manca quel generale senso di attesa verso una soluzione che tutto possa spiegare. Però, decisamente, funziona.

Dicono anche che non si tratti di un thriller, e tutto sommato non sono così distanti dal vero: è un genere letterario (e non solo) in cui adrenalina e ritmo totalmente incalzante finiscono per assumere una rilevanza persino superiore a quella tradizionalmente associata al plot della vicenda. “Un segreto non è per sempre” non possiede quel tipo di cadenza, e  gli accadimenti svolgono la loro matassa con tempi più normali, una giusta direzione e qualche inevitabile pausa. Però, caspita, funziona.

Dicono infine che non lo si possa definire un noir, e mi sento di condividere: persino Wikipedia concorda nel definire questo genere di “poliziesco” (le virgolette sono d’obbligo) come caratterizzato, nella grande maggioranza dei casi, dalla presenza di un anti-eroe. Alice Allevi, specializzanda in medicina legale e protagonista di entrambi i romanzi pubblicati da Alessia Gazzola, è tutto tranne che antieroica. Procede anzi nelle sue (non richieste) indagini in modo istintivo, umanamente coinvolta fino allo sconvolgimento, a simpatici e incasinatissimi tentoni. Però, accidenti, funziona.

E funziona perché siamo stati, siamo tutti e tutti saremo Alice Allevi. Abbiamo avuto tutti nella nostra vita lunghi momenti da Alice Allevi: le incertezze verso tutto quello che ci circonda, una incomprensibile capacità di incasinare tutto con due o tre frasi dette senza pensare, quella meravigliosa destrezza nell’inciampare sempre in quello stesso sasso di cui conosciamo ormai ogni venatura. E così si finisce per perdonare una trama che sembra mancare di qualcosa e persino le deviazioni simil-sentimentali per le quali alziamo ogni tanto gli occhi al cielo, segno comunque inequivocabile che le pagine ti stanno entrando sotto la pelle e che non c’è sveglia anticipata che regga, tu questa sera lo devi finire.

Insomma, scordatevi la Kay Scarpetta della Cornwell – inevitabile punto di riferimento per chiunque dedichi ad una (aspirante) anatomopatologa una serie di romanzi – e immaginatevi piuttosto una sorta di Bridget Jones con il bisturi in mano e un bel po’ di problemi sotto e sopra il camice. L’effetto è tutto sommato non troppo scontato, e tiene la giusta compagnia.

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