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Sapevo che Peppe Lanzetta fosse un attore. Sapevo anche fosse autore di testi teatrali e cinematografici, e sapevo fosse un romanziere.

Non sapevo che Peppe Lanzetta fosse un mosaicista.

“Il cavallo di ritorno”, edito da CentoAutori con una prefazione di Maurizio De Giovanni, è tale e quale a un mosaico: il singolo tassello su cui stai fissando lo sguardo potrà sembrarti bello, e stai perdendo la vista di insieme. Eppure, senza quel singolo tassello non esisterebbe proprio, un insieme.

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Ad essere rappresentata nel mosaico è la città di Napoli, con tutte le sue contraddizioni, con i suoi colori, le sue piccole e grandi assurdità. Siamo lontani, è giusto sottolinearlo, dalla caricatura macchiettistica di cui sono spesso intrisi i pregiudizi sulla città partenopea: l’occhio di Lanzetta è spietato quanto quello di un innamorato ferito che non può fare comunque fare a meno di perdersi nello splendore della sua bella.

Per questo suo primo romanzo giallo, Lanzetta decide dio dare vita ad un personaggio che conquista immediatamente il lettore: amante del kebab, decisamente… pingue, tifoso juventino in un commissariato naturalmente “azzurro”, introdotto da un incipit che più diretto non si può, Ugo Peppenella dovrà indagare su una serie di furti d’arte – e non si tratta di statue qualsiasi – e su una catena di omicidi che sembrano quasi rituali. Tra boss della camorra e una spalla che convince in pieno, la lettura scorre in un lampo, alternando situazioni che muovono al sorriso con altre che provocano indignazione e rabbia. Una vera alternanza di registri, dalla farsa al dramma, che restituisce una sfumatura nuova al giallo italiano, genere che nei confini nazionali continua a regalare, a mio parere, grandi soddisfazioni.

“Il cavallo di ritorno” è davvero una bella lettura. E’ giusto che ve la possiate godere, e per il primo che commenterà questo post con uno squillante “Lo voglio!” è in arrivo una copia omaggio, con spedizione a nostre spese. Un piccolo regalo per un romanzo in cui credo molto.