Mi rendo conto che sto per offrirvi una rivelazione a cui forse non siete pronti, ma è giusto che lo sappiate: a volte gli editori esagerano.
In genere capita fin dalla copertina, ove tramite fascette di carta strategicamente posizionate ci vengono offerte anticipazioni e suggerimenti. A volte ci si spinge fino alla cartellonista pubblicitaria, come abbiamo appena dimostrato qui sopra. In realtà “La verità sul caso Harry Quebert” ha sicuramente centrato un successo editoriale di primissimo ordine, ma è altrettanto certo che non meriti la definizione di “romanzo dell’anno”.
Scrivo queste parole e mi domando quanto il mio giudizio sia stato influenzato dalla presentazione del romanzo: “un giallo salutato come l’evento editoriale degli ultimi anni: geniale, divertente, appassionante, capace di stregare.” Ora, a me personalmente vengono in mente tipo 185 romanzi usciti in questi ultimi anni decisamente migliori di questa opera di Dicker, e di questi una cinquantina buona sono gialli. Romanzi dotati di una corretta proporzione fra eventi e numero di pagine (qui ce ne sono almeno 300 di troppo), di una caratterizzazione dei personaggi più profonda ed intrigante, e soprattutto di quella impronta di credibilità che rende un giallo davvero grande. In “La verità sul caso Harry Quebert” assistiamo al fenomeno esattamente opposto: i protagonisti hanno una scarsissima profondità psicologica, alcuni dei passaggi “investigativi” farebbero rabbrividire persino il Commissario Basettoni e la trama pare scorrere a ondate. Un trucco letterario di bassa lega che generalmente nasconde un certo vuoto di idee e che non ha la minima capacità di creare quel clima torbido e morboso che avrebbe almeno un po’ giovato a questa storia.
Intendiamoci: il tomo ha qualche aspetto positivo. Alcuni lo troveranno certamente voltapagina (io ho sperimentato l’effetto “conta pagina”, ossia “ma quante me ne mancano ancora?”), ad altri non dispiaceranno i continui colpi di scena finali. De gustibus, io consiglierei di rimanerci lontani.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
Non mi capita spesso di aver letto i libri che vengono recensiti sul sito, io viaggio spesso infatti con l’edizione economica (detesto le edizioni troppo rigide e voluminose e non mi dispiace leggere un libro in più con lo stesso budget).
Ma in questo caso sono riuscito, grazie ad un passaparola cui sono grato e che ho contribuito a mia volta ad estendere con i ringraziamenti di altri amici lettori, ad anticipare la recensione e mi sento di dire che dissento con forza dalla stroncatura appena letta.
Il libro può anche contenere qualche pagina di troppo nella parte finale, ma letteralmente vola nonostante la mole e soprattutto ti spiazza in continuazione a differenza di molti altri thriller.
Considerato che non è scritto neanche male, anzi, per me è il miglior libro dell’estate ’13.