Qualunque lettore compulsivo lo sa perfettamente: situazioni del genere sono sempre dietro l’angolo, e non si possono in alcun modo evitare. Mi riferisco alle serie negative, quelle sfortunate accoppiate di libri che ti fanno dubitare della tua capacità di scegliere il romanzo a cui dedicarti. E non ci sono recensioni, Anobii o gruppi di lettura che tengano: quando il momento, è il momento.

Ecco, sono in pienissima serie negativa: un McEwan che non ti aspetti, un Camilleri che abbandona la sua narrativa per dedicarsi a una sorta di Sfumatura, e adesso questo, che non è orripilante come i due precedenti ma che pure è stata una mezza delusione.

Concedetemelo: dopo il triste duetto McEwanCamilleri, credevo di atterrare sul sicuro: di Paasilinna mi ero goduto in passato “Piccoli suicidi tra amici”, che avevo trovato ben costruito, divertente, persino saggio e profondo in alcune sue sfaccettature. Avevo archiviato invece “Le dieci donne del Cavaliere” come uno sfortunato incidente di percorso, ma evidentemente i romanzi di questo celebre scrittore finlandese vanno pescati con una certa attenzione.

“Prigionieri del passato” è stato scritto nel 1974 ed è approdato in Italia soltanto quattro anni fa. E’ bene saperlo prima di affrontarne la lettura, perché la trama del romanzo sottende qualche ragionamento politico che è giusto tenere in considerazione.

L’idea di base è semplice e non particolarmente originale: un aereo con a bordo una delegazione delle Nazioni Unite compie un ammaraggio di emergenza a poche miglia da un paradiso tropicale, che viene raggiunto a nuoto da un gruppo di sopravvissuti tra i quali il giornalista finlandese che sarà la voce narrante delle vicende successive. Vicende che includono una prima lotta per la pura sopravvivenza, l’organizzazione del lavoro, un assestamento non del tutto sgradevole ed un piano ingegnoso per segnalare al mondo la sorte che è toccata ai naufraghi.

E come sempre accade in questo genere di narrazioni – ultima in ordine di tempo, con qualche peculiarità, la serie televisiva “Last Resort” – il focus finisce per essere puntato sul modello sociale adottato. Qui si assiste al trionfo della collaborazione da socialismo nord-europeo, il che non dispiacerebbe neppure se il racconto procedesse spedito e non a sobbalzi e, soprattutto, se i personaggi avessero una minima caratterizzazione e un accenno di spessore.

Mi aspettavo di sorridere un po’, mi è rimasta una smorfia sul viso. E devo ancora trovare il modo di uscire dalla serie negativa…