Ci son stati dei momenti nella mia vita in cui ho odiato i numeri (tranne il 23, ma questa è un’altra storia). E insieme ai numeri, non ho mai amato particolarmente nemmeno la geometria. E siccome ho (opportunamente, direi…) fatto lo scientifico, studiando geometria avrei voluto saltare a piè pari il concetto di parabola. Anche perché, ammettiamolo, è difficile apprezzare con passione viscerale una roba che si può rappresentare così:
Poi gli anni passano, finisci per leggere cose e incontrare persone, ed anche i concetti matematici più astrusi trovano una applicazione nuova che si fa affascinante. Percepisci che anche un parabola discendente, quel che ti metteva un po’ tristezza perché puntava ai piani bassi del tuo grafico, può essere affascinante. Ecco, io stavo seguendo con attenzione e partecipazione la parabola del Commissario Montalbano, e si trattava di un percorso che mi stava convincendo totalmente: eravamo al cospetto di un personaggio riuscitissimo, destinato a lasciare un segno indelebile nella storia delle letteratura gialla non soltanto italiana, ed il suo creatore ci stava accompagnando quasi con dolcezza alle sue ultime vicende. Montalbano – ed è parte della sua forza – non è un supereroe, immutabile nel corso delle stagioni e indifferente alle conclusioni delle sue indagini e delle sue vicende. Il Conmissario è “uno di noi”, come si canta allo stadio, e l’incipiente malinconia delle ultime avventure me lo aveva fatto sentire ancora più vicino.
Da questo punto di vista, “Una voce di notte” rappresenta un passo indietro. Fermo restando che la trama è assolutamente godibile, i continui riferimenti al pantano politico e istituzionale del tutto condivisibili e i personaggi disegnati con l’abituale maestria, spiace che “la madre di tutte le storie”, e cioè la biografia del protagonista disegnata ormai in più di venti romanzi, sembri subire una battuta d’arresto. La chiave sta nella nota finale in cui lo stesso Camilleri – con una certa mancanza di eleganza, se posso – precisa che “questo romanzo è stato scritto diversi anni fa. Quindi il lettore attento che noterà crisi di vecchiaia più o meno accentuate, liti con Livia più o meno contestualizzate e via di questo passo non se la pigli con l’autore per le segrete alchimie dei piani editoriali”. Il punto non è, naturalmente, seguire una banale linearità cronologica a tutti i costi: mi sarebbe piaciuto perdermi però in quella evoluzione anche psicologica con cui avevo contestato gli assertori del “è il solito Montalbano” in occasione delle ultime uscite.
Per me, è un po’ un peccato.
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Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.