Ci sono libri che porti a casa perché hanno una bellissima quarta di copertina, ci sono romanzi di cui ti attira follemente la copertina, ci sono volumi che sfogli in libreria e non puoi evitare di portare alla cassa perché sei rimasto rapito da una frase, un’immagine, un paragrafo. E poi ci sono libri che leggi perché te ne hanno parlato con grande entusiasmo, e hai verso chi si è espresso così favorevolmente una fiducia immensa.
E capita, quando affronto letture consigliate, che mi perda un po’ nella narrazione cercando di immaginare cosa abbia colpito così profondamente chi ne ha caldeggiato l’approccio, e perché. Ecco, il più grande complimento che mi sento di fare a Paolo Cognetti è proprio questo: dopo due pagina e ventitre righe, sono rimasto talmente conquistato dalla sua narrativa da estraniarmi nel mondo che aveva costruito per il lettore, al punto da non poterne uscire più.
Si coglie, nella scrittura di questo vero talento della nostra narrativa, il lavoro solido e cesellato di chi ama le parole e non ne vuole sprecare od utilizzare impropriamente neppure una: ed io, lettore compulsivo che tende alla velocità quando è immerso così completamente in una trama, mi son accorto di aver rallentato più volte la lettura per il puro piacere di gustare ogni vicenda, ogni momento ed ogni costruzione sintattica di un romanzo dalla struttura originale e dalla trama avvincente.
Costruito con un perfetto gioco ad incastri, “Sofia veste sempre di nero” si muove in una successione di racconti-capitoli: voce narrante, ambientazione temporale, teatri della narrazione mutano e si interlacciano, in un continuo sfiorarsi ed annodarsi di emozioni che sarebbe piaciuto a Calvino. Al centro di tutto, e descritta con una sensibilità che porta quasi al turbamento, c’è Sofia, uno di quei personaggi letterari per i quali vorresti che le pagine non finissero mai, o che si riproducessero nottetempo: tipo che ti addormentanti rimpiangendo le sole sessanta pagine che ti mancano e ti risvegli che Sofia è cresciuta, ha avuto altre avventure di facciate, adesso, ne mancano centoventi. Ma non succede mai.
Ne sarete comunque soddisfatti: ognuna delle storie e dei personaggi che ci regala Cognetti colpiscono cervello e cuore, lasciano tracce che toccherà a noi seguire inseguendo un ricordo, un episodio passato, una speranza, un timore. Se state cercando un libro che vi colpisca, se amate quella sensazione di assoluto smarrimento spazio-temporale che vi costringe a cercare l’orologio più vicino per scoprire che razza di ora (e giorno) sia, questo romanzo non vi deluderà. E vi scoprirete un po’ più ricchi, certamente più capaci di guardare dentro e fuori di voi, con arguzia e vera, verissima emozione.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.