copertina libro un regalo da tiffany melissa hill

E’ la maledizione degli anni dispari: nel 2009 toccò a Zia Mame assicurarsi lo scettro di libro più venduto dell’estate, regalandomi delle bellissime ore di sonno nel tentativo – poi pietosamente riuscito – di portarne a compimento la lettura.

Nel 2011 tocca a Melissa Hill e al suo “Un regalo da Tiffany” raccogliere l’eredità di Patrick Dennis e della Zia più inquietante del recente passato: un primato che viene conquistato esercitando facili leve che spaziano dal romanticismo spiccio al facile fascino da sempre esercitato dai gioielli di Tiffany, Fifth Avenue, New York.

E’ proprio dalla più celebre gioielleria del mondo – eternata da Audrey Hepburn  – che la trama prende avvio: il pavimento scintillante di Tiffany è calcato da Ethan (accompagnato dalla figlia) e Gary, entrambi alla ricerca di un regalo per le rispettive compagne. I due non si conoscono ma rimarranno invischiati l’uno all’altro quando, completati gli acquisti e riguadagnata la sede stradale, Gary sarà investito da un taxi ed Ethan contribuirà ai soccorsi. Con una soluzione di dubbia originalità letteraria, i due pacchetti finiranno inevitabilmente per essere scambiati, dando il via ad una serie di equivoci e di eventi che si svilupperanno tra Londra, Dublino e la Grande Mela.

E se abbiamo già scritto della scarsa originalità della trama, sorta di calco di una lunga serie di commedie romantiche più o meno riuscite, altrettanto si può affermare dello stile di scrittura (appesantito, quando vorrebbe essere solo leggero), della costruzione dei personaggi (superficialmente costruiti a senso unico e con lo stessa morbidezza di una brugola dell’IKEA) e persino del finale, ben lontano dallo scoppiettante e sorprendente per chi abbia macinato almeno qualche pagina nella sua storia. Sia chiaro: una condanna che non riguarda il genere, non sono un fan del volume impegnato a tutti i costi e conosco il piacere rilassante di una lettura leggera di tanto in tanto, ma di altra qualità.

Una bocciatura, dunque, a cui voglio però associare almeno un paio di aspetti positivi: a cominciare dal prezzo, perchè Newton Compton ci ha abituato ad una storia fatta di aggressività economica (ricordate i mitici “100 pagine 1.000 lire”?) ed è una costante per cui la casa editrice romana va comunque ringraziata. E poi, più in generale, vedere spiagge, sedili della metropolitana, banchine del metrò popolate da lettori (molte le adolescenti) è, in ogni caso, una buona notizia.

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