Che cosa fai se sei quasi arrivato a casa e il fratellone ti chiede se passi in libreria a prendere un libro edito da poco e che non è ancora riuscito a trovare ad Udine? Risposta facile e scontatissima: torni in metropolitana in modo da comprarlo e poterglielo mandare con la comoda staffetta dei genitori diretti all’indomani verso casa.

E cosa fai se uscito dalla libreria cominci a leggerne due pagine “per vedere come è”, perdi la fermata perché stai ancora leggendo, ceni col romanzo sul tavolo, e bevi tre caffè dato che hai tempo solo fino alla mattina successiva prima di vederlo partire per il NordEst e non vuoi crollare sotto i colpi di una giornata frenetica? Semplicemente, lo finisci. E ti rendi conto che c’è chi scrive un romanzo approfittando della cronaca, pescandoci a piene mani e costringendo le rotative alla pubblicazione di parole che avverti vuote, o furbe nel migliore dei casi. E c’è chi invece racconta di drammi che fanno capolino anche sui quotidiani, ma lo fa con cura, attenzione, partecipazione.

Elisabetta Bucciarelli fa parte di questa seconda schiera – e lo si avverte chiaramente. E’ evidente che l’autrice ci crede, e ci regala un romanzo che – caratterizzato da una serie di personaggi ottimamente raccontati e raccontanti – non può lasciare indifferenti.

Il solo fatto di ambientare questa potente storia in una discarica tradisce parte delle realizzatissime intenzioni: simbolo per eccellenza dell’abbandono, lo sfondo di “Corpi di scarto” diviene inevitabilmente metafora di una intera società che si disfa di umanità come di immondizie, ed in cui assume importanza soltanto la distanza che, coscientemente o meno, poniamo fra noi e gli altri. “Altri” che sono rappresentati da Iac (adolescente in fuga da un’età che non è più la sua), dal turco Saddam (che, perso in gioventù l’uso di una gamba, ha pensato di trovare la felicità in una nazione a forma di gamba), dall’insicurezza di Silvia, dalla dignità di Lira Funesta, da mille altre storie in un carosello continuo che commuove, fa riflettere, indigna e cattura profondamente.

Di conseguenza, due ringraziamenti. Grazie fratellone, perchè tornare in libreria ha scatenato una di quelle occasioni in cui “è stato un piacere” non è soltanto una frase di rito, ma pura verità. E grazie ad una autrice che si arrabbia, convincendoci a leggere e sudare freddo, e a non chiudere mai gli occhi di fronte a questi fenomeni.