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I romanzi di Murakami sono spesso accompagnati da un aggettivo: “onirico”.

“After dark” non fa eccezione.

E allora facciamo così. Facciamo che chiudi gli occhi, posizioni sotto la testa il tuo cuscino preferito, tiri su il piumone, ti addormenti.

Ti addormenti e sogni. Sogni una Tokio notturna di bar e love hotel, sogni una bellissima ragazza che ha deciso, coscientemente, di non svegliarsi per un bel po’. Sogni l’incontro fra l’incantevole Mari, sola a leggere un libro, ed un giovane musicista, sogni un impiegato modello dedito agli straordinari notturni ed alla violenza.

Poi sogni un televisore, che non è un normale televisore e che supera, in qualche modo, i limiti dello spazio e del tempo. Succede, nei sogni.

Poi ti svegli, ti accorgi di essere arrivato alla fine di queste splendide 180 pagine, e ti viene voglia di chiamare Mari, di sapere se è ancora vivo quel sentimento che ti è sembrato di veder nascere, o se la sorella si sia svegliata o meno.