THIS MUCH I KNOW TO BE TRUE: Nick Cave dal tramonto all’alba

Recensione di This Much I Know To Be True, il film-evento diretto da Andrew Dominik al cinema solo il 23-24-25 maggio 2022.

La locandina italiana del film-evento This much I know to be true.

Nick Cave è stato per molti suoi fan, me incluso, un’ancora di salvezza nei due lunghi e dolorosi anni pandemici.
Con l’eco di Ghosteen, uscito a fine 2019 insieme ai Bad Seeds, e il lancio di Carnage (col solo Warren Ellis) nel febbraio del 2021, l’artista australiano ha accompagnato a distanza i suoi ascoltatori nel momento in cui essere musicisti, musicofili ed umani era un’impresa più vulnerabile e disperata del solito.

Ma non solo: con il progetto The Red Hand Files ed il sito omonimo, Nick Cave ha stretto ancora di più il cordone che lo lega al suo pubblico, offrendo uno spazio dove dialogare con i fan.

Questi due anni peculiari vengono catturati da This Much I Know to be True, documentario presentato allo scorso festival di Berlino che approda nelle sale italiane come evento speciale il 23, 24 e 25 maggio.

Nick Cave in This Much I Know to be True. Photo courtesy of Nexo Digital.

Alla regia c’è l’ormai fidato Andrew Dominik, che già con One More Time with Feeling (2016) aveva restituito al pubblico uno spaccato vivido e doloroso dell’ora più buia nella vita di Cave, con la morte del figlio quindicenne Arthur e la disperata catarsi attraverso l’album Skeleton Tree.

Ed è qui che si innesta il nuovo documentario di Dominik, che per molti aspetti è il secondo tempo del film che avevamo visto sei anni fa, l’esplorazione di un Nick Cave non più nel cuore tenebroso dell’elaborazione del lutto ma nell’accennata luce dell’accettazione, con Ghosteen che diviene un altro maestoso album, la contemplazione di un’alba ancora gelida ma affacciata sul futuro e sulla speranza.
Lo dice lo stesso Cave alla macchina da presa, “la mia priorità non è più la felicità, è trovare il senso delle cose”, lo dice anche nei suoi testi viscerali, ancora sofferenti ma in qualche modo positivi.

Dominik lascia parlare la musica ancor più che nel capitolo precedente, sa che l’anima di Cave si manifesta in continua evoluzione nelle sue poesie-canzoni, esito delle asimmetrie e delle discordanze funzionali tra il suo genio e quello di Warren Ellis.

This Much I Know to be True – Nick Cave e Warren Ellis at Battersea Arts Centre. Photo: courtesy of Nexo Digital.

Se in Ghosteen permane la liturgica solennità di Skeleton Tree, il drappo funereo è sostituito da uno sguardo verso un orizzonte diverso, dove il gelo e l’immobilismo (quelli di una Girl In Amber, ad esempio) vengono sostituiti dalla resilienza e dalla consapevolezza, dalla vicinanza degli affetti rimasti (“I think my friend have gathered here for me / to be beside me”, recita Ghosteen Speaks) e dal ruolo di uomo, marito e padre che, quasi chiamato da una forza superiore, sopravanza quello di musicista e scrittore.

Poi la realizzazione di Carnage, un altro passo, lo sguardo che si allunga un po’ in là, qualche sonorità più ruvida e dissonante, “this morning in amazing and so are you” nel sognante elogio borderline di Balcony Man. Un disco figlio del torpore Covid e nel contempo reazione ad esso.
Insieme alla volontà di confrontare se stessi e le proprie paure con chiunque nel mondo, magari uscendone insieme: ecco i Red Hand Files. Ad un fan che gli chiede come affrontare l’improvviso crollo della propria esistenza, Cave risponde che è un velo sottile quello che separa le nostre sicurezze dalla disperazione, ma che ogni condizione, anche la peggiore, ci offre un’opportunità di reazione.

This Much I Know to be True – Nick Cave, Warren Ellis and band singers. Photo: courtesy of Nexo Digital.

This Much I Know to be True cattura questa reazione, insieme all’essenza dell’uomo Nick Cave e del narratore, l’estro di Warren Ellis, il rito collettivo creativo nella registrazione dei due album, forse con minor impatto emotivo rispetto al suo predecessore ma con un commovente, benvenuto spiraglio di possibilità, attorno a cui lo sguardo di Dominik gravita tanto fedele quanto curioso.

E come ogni rito, c’è anche un mantra, è quello sul finire dei biblici 14 minuti di Hollywood, pezzo tra i migliori della recente discografia che chiude Ghosteen con quel reiterato “It’s a long way to find peace of mind”.
Una consapevolezza a cui Cave sembra giunto davvero, dopo il dramma, e nella quale invita i suoi “fedeli” a credere, in una delle manifestazioni più fulgide e genuine di legame artista-fan.

E’anche e soprattutto per questo che This Much I Know to be True trova la sua assoluta, dolorosa verità, semplicemente osservando il suo meraviglioso soggetto e la genesi della sua poetica.

Un’opera di musica e di esistenza che prende, tocca ed incoraggia.

Luca Zanovello


TRAILER UFFICIALE

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