Recensione de IL POTERE DEL CANE, il film di Jane Campion con Benedict Cumberbatch e Kirsten Dunst ora in streaming.
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Jane Campion
CAST: Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Genevieve Lemon, Jesse Plemons
DURATA: 125 min.
USCITA: (cinema) 17 novembre 2021 | (streaming) 1° dicembre 2021
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
PIATTAFORMA: Netflix
RECENSIONE
George e Phil sono una coppia di fratelli che possiede un ranch nel Montana. Quando George sposa la giovane vedova Rose e la porta a vivere nel ranch, Phil prende di mira la donna e suo figlio Peter, tormentandoli senza sosta.
Con 12 candidatura ai Premi Oscar, Il potere del cane della regista e sceneggiatrice neozelandese Jane Campion, dopo un passaggio al cinema ora è disponibile su Netflix – anche se la visione non al cinema di un film del genere è ampiamente riduttiva.
Jane Campion, già dai primi cortometraggi, si fa notare per la grande abilità nel raccontare storie audaci con la macchina da presa, già dal suo debutto al lungometraggio con Sweetie (1989), ritratto di due sorelle cresciute in una famiglia disfunzionale, o da Un angelo alla mia tavola (1990), vincitore del Leone d’Argento, per non parlare di Lezioni di piano, ritratto di una donna capace di comunicare i propri turbamenti interni solo tramite la figlia e un pianoforte.
Con la storia di un rude cowboy nel dramma western Il potere del cane (2021), premiato come miglior regia all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e vincitore di tre Golden Globes, la Campion torna a inoltrarsi nei meandri della mente umana e in una storia nera e cupa che un po’ ricorda Il petroliere di P.T. Anderson.
Il significato del titolo del film – tratto dal romanzo di Thomas Savege – è stato spiegato dalla regista stessa: «Così come si presenta il titolo, è una specie di avvertimento. Il potere del cane sono tutti quegli impulsi profondi e incontrollabili che possono salire in superficie e distruggerci».
Il potere del cane è un western atipico dove sparatorie, inseguimenti e saloon lasciano il posto a lunghissimi panorami e paesaggi a perdita d’occhio nelle pianure sconfinate del Midwest. Luogo che sta vivendo il periodo di transizione tra la vecchia tradizione quasi selvaggia dei pionieri, e la borghesia, la tecnologia, l’arrivo dei mezzi di comunicazione e del treno, come raccontato in maniera magistrale da Sergio Leone in C’era una volta il West.
Il film, ambientato a cavallo fra gli anni dieci e gli anni venti, nel primissimo novecento, più che indagare l’ambiente americano, scava nel profondo di due famiglie che si uniscono e nel frattempo si contrappongono, mettendo in scena e dando vita a una crudele tragedia familiare.
La Campion non traccia una linea di confine fra male e bene ma anzi, ci mostra ancora una volta come ciò che riteniamo essere bene alla fine possa trasformarsi nel male assoluto.
Tante le tematiche sviscerate dalla regista, il rapporto genitore-figlio, il ricambio generazionale, la paranoia mentale, il bullismo, l’omosessualità.
L’isolamento e la solitudine sono però i due elementi più vistosi, i personaggi sono imbrigliati in ruoli preconfezionati e in psicologie morbose da cui non riescono a guarire. Ma è nel personaggio di Phil, interpretato da un magistrale Benedict Cumberbatch, che si concentra tutta la cupezza della storia, lui che è il sintomo preciso – fin troppo, e infatti… – di quella “malattia” secondo cui quando subisci il male devi a tua volta farlo subire a qualcuno, come in un rito magico dove se qualcuno vive la tua stessa sofferenza allora tu puoi finalmente liberartene.
Ma non c’è un “finalmente” in questa pellicola di Jane Campion, come non c’è una lieta fine. Nessuno viene salvato, nessuno si salva.
Margherita Giusti Hazon
TRAILER UFFICIALE
Laureata in Lettere Moderne, Margherita lavora alla Fondazione Cineteca Italiana, collabora con la rivista Fabrique du Cinéma, ha in corso alcuni progetti come sceneggiatrice e ha pubblicato il suo primo romanzo, CTRL + Z, con la casa editrice L’Erudita.
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