Recensione di NEBESA, il film con Goran Navojec in Concorso Internazionale al Locarno Film Festival 2021.

Nebesa ©Delirium Films

Goran Navojec è uno dei protagonisti di Nebesa © Delirium Films.

1993: dopo un incidente sul lavoro, l’umile operaio Stojan (Goran Navojec) si ritrova una scintillante aureola sopra la testa, che attira la devozione di tutti i fedeli del suo villaggio.
2001: un condannato a morte cerca l’assoluzione comunicando col “divino” tramite il suo nuovo telefono cellulare.
2026: un pittore senza fissa dimora scopre che i suoi quadri hanno il misterioso potere di sfamare la popolazione.

Tre miracoli cristiani nella Serbia post-comunista, tre interventi divini che vanno di traverso in una società dominata ieri, oggi e domani da povertà, avidità ed ingiustizia: Nebesa del veterano Srdan Dragojević scuote il Concorso Internazionale di Locarno con ironia ed intelligenza, realizzando tre atti distinti ma interconnessi di satira umana, governativa e religiosa.

Il trittico surreale di Nebesa esplora con profonda arguzia le implicazioni del cambiamento sociale e della reintroduzione della Cristianità dopo mezzo secolo di ateismo, le superstizioni, gli equivoci e le derive tragicomiche di un popolo che si ritrova a dovere e potere credere in qualcosa.
Ne esce un’imperdibile commedia tutt’altro che corretta, suddivisa in tre sezioni “bibliche” (Sins, Grace e The Golden Calf) scritte con grande freschezza, capace di coniugare gag sapidissime ad una riflessione sulle vie cieche della fede.

Nebesa©Delirium Films

Una scena del film Nebesa in Concorso a Locarno74 © D

E’ particolarmente efficace il primo racconto, quello di un “uomo a cui appiopparono la santità” e che cerca di liberarsi dell’opprimente responsabilità attraverso un’escalation di peccati. Qui è già tutto iconico, soprattutto il grandioso Navojec (Mission: Impossible – Protocollo Fantasma) che in una scena da poster brandisce con aria belligerante un lungo ed intimidatorio cero votivo come fosse una mazza da baseball.
Lo humour cala poi nei successivi due capitoli, più cupi ed amari, proiettili scagliati rispettivamente contro il sistema giudiziario serbo e il ruolo dell’artista e della cultura nella società, a frantumare sarcasticamente il dogma del “con l’arte non si mangia”.

Tutti i personaggi di Nebesa, toccati da Dio e finiti a pezzi, benedetti ma inascoltati e in perdizione, si ritrovano alla fine simbolicamente sotto l’altare della dismessa chiesa locale implorando di poter tornare dei semplici, poveri diavoli…

Caustico, brillante e sacrilego. Da premio.

Luca Zanovello

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