Recensione di TITANE, la Palma d’Oro 2021 che arriverà prossimamente nei nostri cinema. 

Titane poster film

La locandina internazionale del film Titane.

SCHEDA DEL FILM

REGIA: Julia Ducournau
CAST: Agathe Rousselle, Vincent Lindon, Bertrand Bonello
DURATA: 108 min.
DISTRIBUTORE: I Wonder Pictures


RECENSIONE

Alexia (Aghate Rousselle): una placca di metallo nel cranio dopo un incidente da bambina. Ora, dieci anni dopo, balla, si sfrega e si divincola sui bolidi tra gli sguardi libidinosi dei clienti di un sudicio night-garage.
Alexia ha un lato oscuro e per sfuggirci servono due cose: una svolta radicale e qualcuno, un uomo disperato, che veda in lei qualcosa più di un corpo.

Sconvolgente, il racconto di Titane, opera seconda per il grande schermo della parigina Julia Ducournau dopo l’exploit con il drama horror a tema “veg” di Raw – Una Cruda Verità (2016).

Un incubo destrutturato per temi e narrazione, che non si può certo ridurre a una rivisitazione brillante del body horror cronenberghiano o di Tsukamoto (Tetsuo) anche se ne ripresenta alcuni fattori, vale a dire i motori sessualmente stimola(n)ti del primo e il corpo contaminato dal metallo del secondo.
Questi fattori affiancati da almeno altri tre disturbanti spifferoni d’aria: la sessualità disorientata, alterata e repressa dello stesso Raw, evidentemente, ma con più libertà di deflagrazione, insieme alla labirintica, cumulativa violenza verso sé e verso gli altri, il puzzle di cicatrici della “new extremity” francese di inizio millennio, ed infine lo studio cinematografico dell’istinto omicida lasciato per sempre nella penombra dell’immotivazione, della solitudine e dell’affezione contronatura, roba teorizzata alla perfezione da un altro francese, Grandrieux, in Sombre (1999).

La lista delle influenze tra l’altro serve a poco, ma dare qualche coordinata dopo una visione così disorientante può servire. Forse.

Sconvolgente, ma benefica, la vittoria della “accademica” Palma d’Oro di Cannes: un film del genere, brutale e malsano, solitamente confinato negli scaffali del reparto b-movies nelle polverose videoteche (leggi straight to video o streaming), che vince in faccia a Ozon, Audiard e Farhadi?
Esito che ad alcuni disturba più del film, più dell’allucinante trasformazione fisica della protagonista, più del momento di lucidità che prima o poi giunge e fa capire che Titane, dopo tutto il calvario (mai sensazionalista) che racconta e mostra, è e vuole essere una storia di amore e di famiglia. Di redenzione forse, addirittura.

Sconvolgente, struggente o rivoltante, dipende dalle pareti cerebro-gastriche di chi osserva.
Ma il miracolo, per noi fedeli della parrocchia del cinema del coraggio e dell’estremo, è già certificato.

Luca Zanovello