Il passato e il presente di Britney Spears, tra sogno americano e l’impietosa macchina dello Star System (raccontato dal New York Times).

Framing Birtney - ph press office

Un’immagine di Framing Britney, il documentario ora su Discovery+

SCHEDA DEL FILM

TITOLO ORIGINALE: Framing Britney Spears
REGIA: Samantha Stark
DURATA: 74 min.
PIATTAFORMA: Discovery+


RECENSIONE

I 74 minuti del documentario Framing Britney Spears dimostrano quanto la linea che divide il buon giornalismo d’inchiesta da uno sciatto assemblaggio di voci e pettegolezzi si stia sempre più assottigliando. Poco importa che a produrlo sia il serissimo New York Times: il risultato è un arbitrario processo induttivo in cui si mescolano immagini di repertorio, testimonianze al limite dell’inutilità e un debolissimo finale aperto.

Il racconto prende forma dalla spontanea aggregazione di un numero cospicuo di fan che, grazie al passaparola dei social, è diventato un organizzato e coevo movimento di liberazione #freeBritney, che punta a ridare autonomia decisionale alla cantante, ad oggi ancora sotto tutela legale del padre.

La storia è nota: la piccola e adorabile Britney Jeane Spears, proveniente dalla tranquilla e cattolica cittadina di Kentwood, Louisiana, dopo numerosi concorsi canori recitazione e grandi aspettative genitoriali, diventa una delle baby protagoniste del noto programma Tv per bambini, il Mickey Mouse Club.

È il 1998 l’anno della svolta: grazie al carisma inconsueto e 11 milioni di copie vendute del disco Baby One More Time, diventa improvvisamente la più celebre stellina del pop o, meglio, del Bubble Gum Pop.

Il leggendario videoclip che accompagna l’uscita della hit, nei panni di una lolita sensuale e, allo stesso tempo, non minacciosa, la rende l’adolescente più desiderabile del pianeta musica. I suoi concerti fanno il tutto esaurito, il cinema la reclama, le interviste diventano infinite e gli amori celebri come Justin Timberlake rendono inarrestabile la sua ascesa.

Con il successo le pressioni dei media, l’invasione alla sua privacy, i conflitti con i genitori e collaboratori privi di scrupoli iniziano a minare la sua acerba autostima.

I matrimoni sbagliati, i divorzi lampo, le battaglie legali per la custodia dei figli e un certo abuso di alcool e sostanze portano l’instabile Britney Spears a perdere sempre più il controllo fino a diventare una scheggia impazzita, bisognosa di un trattamento sanitario obbligatorio. L’avido padre Jamie, un ex alcolista dai trascorsi turbolenti con cui Britney ha da sempre un rapporto assai conflittuale, approfitta della sua fragilità per richiedere la tutela temporanea del patrimonio.

Tra pochi alti e molti bassi, una delle voci femminili del ventunesimo secolo sembra così scomparire dai radar dei paparazzi e dagli impietosi giornali scandalistici, che per anni si sono arricchiti con le sue disgrazie, ma non dall’affetto dei suoi adoranti fan. Il movimento #freeBritney, nato nel 2019, vorrebbe metaforicamente ridare vita a una personalità schiacciata dal peso di un prodigo destino e di un temperamento infelice.

Framing Britney Spears racconta tutto questo ma in modo piuttosto convenzionale, alternando interviste passate e fatti di cronaca a testimonianze inconsistenti come quella dell’ex assistente, Felicia Culotta o Nancy Carson, prima agente della star, che la descrivono in modo stucchevole e privo di ombre.

Britney Spears è davvero una stellina caduta, dalla labile e disturbata psiche oppure è una donna prigioniera del suo stesso successo e di una famiglia avida e senza scrupoli? Il documentario sembra dare per scontata la prima (e unica) ipotesi, pur non portando validi argomenti alla sua tesi. Quel che è certo è che sembra accontentarsi di briciole di verità e di leggere tra le righe del profilo Instagram ufficiale, cercando invano di colmare il rifiuto di Jamie e Lynne Spears ad essere intervistati e l’assenza totale di una risposta da parte della cantante.

L’uso sapiente dell’entusiasmo ingenuo e sincero dei fan e la causa intentata nel 2019 da Britney Spears, che chiede l’annullamento della tutela paterna, non bastano a regalare al documentario l’auspicata autorevolezza argomentativa.

Ciò che emerge è un’occasione mancata, quella di raccontare un frammento di storia del costume o di approfondire l’interessante disequilibrio tra il successo delle celebrity e la voracità cannibale di una stampa fatta di becero gossip e alcun freno inibitorio.
#freeBritney, dunque: auguriamo lunga vita alla Britney pop e fragile, un po’ meno al suo documentario.

Try one more time, baby.

Silvia Levanti


TRAILER ORIGINALE

Foto: ufficio stampa Discovery+, che si ringrazia.