A PROPOSITO DI NIENTE: recensione della nuova autobiografia di Woody Allen

A proposito di niente di Woody Allen è un viaggio tra ironiche confessioni e qualche piccola vendetta personale.

Della lunga e prolifica carriera di Allan Stewart Königsberg, alias Woody Allen, molto si è scritto e raccontato. A proposito di niente, l’ultima fatica autobiografica del regista di Manhattan, più che aggiungere gustosi risvolti cinematografici, appare strutturata come una tela di ragno, una vera trappola dialettica che mette la parola fine agli innumerevoli pettegolezzi sulla sua complicata vita sentimentale.

La storia è nota: nei primi anni ’90, la compagna di lunga data di Woody Allen, Mia Farrow, scopre la relazione tra la figlia adottiva, Soon-Yi e il regista e intenta una lunga e sanguinaria causa. Lo scandalo è enorme non solo per la considerevole differenza di età della coppia ma per i contorni morbosi che ne conseguono. Allen viene prima disegnato come una personalità predatoria, un vero molestatore di minorenni, poi assolto con formula piena da ogni accusa. Con l’esplosione del caso Harwey Weinstein e la bomba moralistica del Me Too, gli articoli denigratori di Ronan Farrow e del New York Times, hanno riportato in auge la torbida vicenda.

La copertina del libro A proposito di niente

Le 400 pagine di A proposito di niente contengono, fin dal titolo, una micidiale iperbole che anticipa il contenuto tutt’altro che innocuo di un maestro del cinema che, tra successi e qualche battuta di arresto, ha deciso che la più efficace delle vendette è la disarmante verità.

“Alcuni vedono il bicchiere mezzo vuoto, altri lo vedono mezzo pieno. Io ho sempre visto la bara mezza piena.”

L’ossatura biografica di A proposito di niente sceglie la strada dei racconti in apparente ordine sparso.

Così, ai frammenti di un’infanzia a Brooklyn povera e felice, i primi passi come autore comico e gli incontri con personalità di grande rilievo, si intersecano flash del presente che, poco a poco, aprono gli occhi al lettore su ciò che è davvero reale e ciò che è stato perfidamente costruito.

Woody Allen uomo, attore, regista e amante: tutto viene scandagliato con una dose di lucido discernimento.

Da lui apprendiamo la nota idolatria per Groucho Marx, per Federico Fellini e per Ingmar Bergman, così come è inedita la sua scarsa simpatia per il comico Lenny Bruce e per la personalità, priva di ironia, di Michelangelo Antonioni.

Percepiamo come toccanti le parole d’amore dedicate alla prima moglie Louise, alla musa Diane Keaton e a tutte le attrici con cui ha lavorato: da Scarlett Johansson a Emma Stone, da Kate Winslet ad Angelica Huston.

A questo sincero biografo, si perdonano volentieri il poco credibile stupore per il suo duraturo successo e l’ipocrita quanto irritante bassa concezione di sé, definendosi regista dalle scarse capacità tecniche che deve molto alla fortuna, più che a un vero talento.

Peccati veniali, certo, che vengono generosamente compensati da descrizioni spassose di personaggi leggendari e da impressioni inedite sui film da lui diretti.

Onesti quanto spietati i pentimenti per aver partecipato a Hello Pussycat (Clive Donner, 1965) e a Ho solo fatto a pezzi mia moglie (Alfonso Arau, 2000) quest’ultimo definito come il premio Oscar al più grande spreco di celluloide.

Allen non ha mai fatto mistero di preferire tra i suoi film Io e Annie (1977) Misterioso omicidio a Manhattan (1993), Pallottole su Broadway (1994) e il poco apprezzato Interiors (1978), omaggio al cinema di Bergman.

L’opera che giudica perfetta è La ruota delle meraviglie (2017), mentre una parte di sé è tutta in La rosa purpurea del Cairo.

“Quando mi chiedono quale personaggio dei miei film mi assomiglia di più, dico sempre di dare un’occhiata a Cecilia in La Rosa Purpurea del Cairo”.

Difficile non sorridere quando afferma che lo scombinato To Rome with Love (2012) sia più compiuto del magnifico Blue Jasmine (2013); impossibile credergli, però, quando dichiara che Crimini e Misfatti (1989) unanimemente riconosciuto da pubblico e critica come la sua opera più significativa, sia per lui un film riuscito a metà.

Tra autocritica e ricordi, Allen inserisce gelide stoccate sia nel ritratto impietoso di Mia Farrow, descritta come una fredda calcolatrice, una vedova nera che si accoppia e poi divora il maschio, sia nel disgusto per la difettosa macchina della giustizia, colpevole di aver manipolato prove e testimonianze.

L’ironia nei confronti di attori come Greta Gerwig, Timothée Chalamet o Colin Firth, che si sono pentiti pubblicamente di aver lavorato con lui, donando il compenso dei film alla causa Me Too, si vela di malinconica e non certo nascosta sofferenza.

Tra risate, dolorose reminiscenze e tratti di rara umanità, Allen si congeda dal suo pubblico confessando di aver un unico, grande segreto: scrivere, suonare e dirigere sempre per sé stesso, non per gli altri.

“Come riassumere la mia vita? Tanti stupidi errori compensati dalla fortuna”.

A proposito di niente è la certezza che Woody Allen esiste ancora, e per sempre.

Silvia Levanti


SCHEDA LIBRO

A proposito di niente

Autore: Woody Allen
Editore: La nave di Teseo (14 maggio 2020)
Collana: Oceani
ISBN: 978-8834603345
Pagine: 400 
 

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