Recensione, scheda e trailer ufficiale di Cattive Acque, storia vera della battaglia legale dell’avvocato Robert Bilott contro DuPont.
Al cinema dal 20 febbraio 2020.

poster film cattive acque

La locandina italiana del film Cattive Acque

SCHEDA DEL FILM

TITOLO ORIGINALE: Dark Waters
REGIA: Todd Haynes
CAST: Mark Ruffalo, Anne Hathaway, Tim Robbins, William Jackson Harper
DURATA: 126 min.
DATA DI USCITA: 20 febbraio 2020
DISTRIBUZIONE: Eagle Pictures


RECENSIONE

Cattive acque racconta la vera storia di Robert Bilott, avvocato ambientalista protagonista della estenuante battaglia legale durata ben 19 anni contro il colosso chimico DuPont e di come, da uomo tenace e combattivo, ha rappresentato 70mila cittadini dell’Ohio e della Virginia, la cui acqua potabile era stata contaminata dallo sversamento incontrollato di PFOA (acido perfluoroottanoico).

Bill Camp (sinistra) è Wilbur Tennant e Mark Ruffalo (destra) è Robert Bilott in una scena del film CATTIVE ACQUE. Photo credit: Mary Cybulski

Bill Camp (sinistra) e Mark Ruffalo (destra) in una scena del film CATTIVE ACQUE. Photo credit: Mary Cybulski.

È la prima volta che Todd Haynes (Poison, Carol, La stanza delle meraviglie) si cimenta in un “film sugli informatori”, una vicenda realmente accaduta (lo scandalo dell’inquinamento idrico di Parkersburg) che ha portato alla luce un caso inquietante e gravissimo a livello mondiale, e di cui si parlò per la prima volta nel 2016 in un articolo del New York Times Magazine scritto da Nathaniel Rich.

Da esperto “manipolatore di immagini”, Haynes accetta la sfida di Mark Ruffalo: parte infatti da lui – che qui torna ad indossare la giacca e cravatta dello stacanovista a testa bassa – l’idea necessaria di girare questo film e di affidarlo proprio ad Haynes.

Haynes percorre una strada personale indagando non tanto “l’epidemia” quanto l’effetto che essa può avere su un uomo e la sua psiche, un uomo “qualunque”, un anti-eroe. Un’epidemia che in silenzio corrompe, distrugge, inesorabile si attacca dentro e fuori di noi, che è reale ma sembra quasi immaginata.

Mark Ruffalo è Robert Bilott nel film CATTIVE ACQUE. Photo credit : Mary Cybulski

Mark Ruffalo è Robert Bilott nel film CATTIVE ACQUE. Photo credit: Mary Cybulski.

Mark Ruffalo dà magistralmente viso e soprattutto corpo a un uomo contro tutti e contro tutto, che lentamente si consuma. Messa abilmente in scena questa metamorfosi, quella della corruzione e del potere che prosciugano fisicamente e moralmente. La solitudine di Bilott è come una pianta rampicante che si ramifica, si espande.

Cattive acque descrive nei minimi dettagli questo processo: sfidare i potenti è un’esperienza di morte. Mette in discussione le tue certezze, l’amore e il supporto delle persone che ti stanno vicino, i valori a cui sei legato da sempre, persino la tua salute mentale (oltre che fisica, prima cosa che viene meno). L’anti-eroe diventa così eroe perché sacrifica il suo bene per un bene superiore e guarda la morte in faccia senza più paura.

“Penso che per essere un eroe si debba affrontare un gran numero di opposizioni, a volte provenienti da tutte le parti”, scrive Ruffalo.

Cattive acque non è intrattenimento ma un’altissima lezione di moralità e civiltà, un nuovo e importante tassello nel cinema d’inchiesta, dopo Il caso Spotlight, Tutti gli uomini del presidente, The Post, The Report, Insider. Sobrio e mesto, cerca di smuovere le coscienze, e lo fa in modo originale affidandosi anche ad atmosfere da vero film horror, soprattutto nella prima parte del film, dove tutto è cupo, oscuro e torbido come l’acqua in cui sguazziamo (e beviamo).
Mark Ruffalo in una scen del film Dark Waters. Photo credit: Mary Cybulski

Mark Ruffalo in una scen del film CATTIVE ACQUE. Photo credit: Mary Cybulski.

Quella di Haynes è anche una profonda riflessione su quale prezzo siamo disposti a pagare per realizzare il mediocre sogno di una vita per bene, villetta con giardino e conto in banca bello pingue. Perché in fondo è grazie al Teflon se siamo stati assunti nella grande azienda, teflon che può essere anche amianto ma anche, in casi meno gravi, un qualsiasi capo con le sue vessazioni, i turni assurdi, insomma tutto ciò che ci toglie vita andrebbe comunque condannato e allontanato. Perché questi più che compromessi assomigliano tanto a patti col diavolo.

E nel finale, l’unica riflessione possibile è che in battaglie del genere non c’è vincitore né sconfitto, perché non hanno mai fine e durante il percorso si portano dietro talmente tanti “perdenti” che un happy ending sarebbe ipocrita. Rimane solo tanto amaro in bocca (e chissà cosa nel sangue) e la consapevolezza che la lotta è una condizione perenne e in divenire, senza fine, e se vogliamo parteciparvi, partecipiamo, altrimenti continuiamo a pensare al nostro tornaconto.

Ma dobbiamo essere disposti a morire, in entrambi i casi, solo che senza lotta sarebbe una morte inutile.

Margherita Giusti Hazon


TRAILER ITALIANO