Recensione di A Febre, il film di Maya Da-Rin in Concorso Internazionale a Locarno 72.

Justino ha 45 anni, lavora come guardia al porto di Manaus e vive in un decadente villaggio ai margini della foresta Amazzonica.
Prossimo al distacco dall’amata figlia, pronta a trasferirsi a Brasilia per studiare medicina, Justino perderà in modo quasi impercettibile contatto con la sua quotidianità e col mondo reale, entrando in un costante stato febbrile e riavvicinandosi alle suggestioni della sua terra, i miti del popolo amazzonico Desana.

Una scena del film A Febre - Photo: courtesy of Locarno film festival

Una scena del film A Febre – Photo: courtesy of Locarno film festival

Tra sociale e folklore, il debutto della regista e artista brasiliana Maya Da-Rin si chiama A Febre. E’ un enigmatico racconto radicato nella (e dedicato alla) terra di origine, che spazia dall’analisi del dualismo sociale tra metropoli e foreste fino alle leggende che pulsano nel cuore amazzonico.
A ricondurle a comune denominatore, un bravo protagonista (Regis Myrupu) che entra in una silenziosa, composta crisi esistenziale e mistica.

Mosso da narrazione lenta, tipicamente “da festival”, e dall’eccezionale fotografia silvestre dell’esperta Barbara Alvarez, A Febre è un dramma mai pedante o nichilista, che parla poco e allude molto.
Allude soprattutto ad un mondo per noi esotico e intricato, una microsocietà multistrato che non vuole e non può svelarsi apertamente. Ma che è affascinante e minacciosa, di colpo faticosa persino per un uomo placido e sereno, che fa di un (solitamente) semplice malanno il simbolo e il sintomo di una crepa che si apre, tanto sul muro di casa quanto in sé.

Un film metafora, da significati latenti e da duplice visione.

A Febre è nella sezione Concorso Internazionale di Locarno 72, date e orari delle proiezioni qui

Luca Zanovello

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Il protagonista del film A Febre - Photo: courtesy of Locarno film festival

Il protagonista del film A Febre – Photo: courtesy of Locarno film festival