Recensione di Magari (If only), il lungometraggio di Ginevra Elkann, con Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher, in anteprima in Piazza Grande a Locarno.

Da poche ore si è alzato il sipario sulla 72esima edizione del Locarno film festival e l’onore – e onere – di inaugurare la kermesse è andato a Magari (If only), debutto nel lungometraggio della produttrice Ginevra Elkann, che oggi corona un sogno coltivato sin dall’età di quattordici anni.

Un’immagine del film Magari (If only) - Foto di Francesca Fago © Wildside Iconoclast Tribust 2019

Un’immagine del film Magari (If only) – Foto di Francesca Fago © Wildside Iconoclast Tribust 2019

Con Magari la regista ci porta nella vita di tre bambini. Tre fratelli tra i nove e i quattordici anni alle prese coi sentimenti, la famiglia, la crescita (e pure la religione). 

È l’inverno dei primi anni ‘90. La scena si apre a Parigi dove i tre vivono con la madre e il suo nuovo compagno. Un evento inatteso farà loro trascorrere le vacanze di Natale col padre, Carlo, aspirante sceneggiatore che vive a Roma. 

I tre dovranno fare i conti con la realtà di un papà che li ama ma che non vedono mai; con la lontananza da casa; e con le proprie emozioni in un periodo delicato come l’infanzia.

Una scena del film Magari (If Only) - Foto di Francesca Fago © Wildside / Iconoclast/ Tribust 2019

Una scena del film Magari (If Only) – Foto di Francesca Fago © Wildside / Iconoclast/ Tribust 2019

La fotografia gentile e intima della famiglia che ci regala la Elkann è una sorpresa.

Attingendo ad elementi autobiografici (è cresciuta, a sua volta, con due fratelli e i suoi genitori si sono separati quando era molto piccola), tratteggia un’immagine di ciò che prova un bambino (un tumulto interiore e silenzioso) alle prese col divorzio dei genitori. Figure di riferimento che finiscono talvolta per essere idealizzate al fine di fronteggiare e avere la meglio sul proprio dolore.

Sono, difatti, gli occhi dei bambini ad essere il fulcro della pellicola. Loro è lo sguardo sul mondo degli adulti. Loro sono le speranze. E loro sono le vacanze strampalate a Sabaudia (altro luogo caro alla regista) volute da un padre tanto affettuoso quanto carente. 

Una scena del film Magari - Foto di Francesca Fago © Wildside / Iconoclast/ Tribust 2019

Una scena del film Magari – Foto di Francesca Fago © Wildside / Iconoclast/ Tribust 2019

Ha il volto di Riccardo Scamarcio il nostro Carlo. Tipico uomo anni Novanta, incapace di stare dietro ai figli, svogliato e imperfetto. Fondamentalmente egoista e distratto, al cui fianco c’è l’eclettica Benedetta (Alba Rohrwacher). Una donna che, al contrario di lui, è difficile da incasellare in uno stereotipo, è imprevedibile e libera. Una libertà che precorre i tempi e che rende il rapporto tra i due un su-e-giù sulle montagne russe.

Perché Magari è proprio questo: una piccola montagna russa di gioia e infelicità sino al momento della resa alla realtà, che non è mai idilliaca ma sa riservare sorprese. 

In una frase, Magari non è un film perfetto però riesce ad addentrarsi con sicurezza nei meandri dei sogni e dolori dei cuori più giovani e fragili. È malinconico ma sa lasciare la porta aperta alla felicità. 

Vissia Menza

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