Poster, recensione e trailer italiano di Beautiful Boy, il film con Steve Carell e Timothée Chalamet al cinema dal 13 giugno 2019.
SCHEDA FILM
REGIA: Felix Van Groeningen
CAST: Steve Carell, Maura Tierney, Timothée Chalamet
DURATA: 111 min
DISTRIBUTORE: 01 Distribution
DATA DI USCITA: 13 giugno 2019
RECENSIONE
Nicolas Sheff ha 18 anni, possiede una profonda sensibilità artistica, ama leggere, scrivere e sperimentare le droghe. In breve tempo Nic diventa un vero e proprio tossicodipendente e la sua famiglia, in particolare suo padre, con cui ha un legame speciale, proverà ad accompagnarlo nella lotta contro questo grande buco nero.
Basato sull’omonimo bestseller del giornalista David Sheff e sull’autobiografia di suo figlio Nic, Beautiful Boy, diretto da Felix Van Groeningen (Alabama Monroe) mescola due punti di vista, quello di un padre (Steve Carell) e di un figlio (Timothée Chalamet), nel racconto della lotta contro la tossicodipendenza.
Il regista ha perso il padre a soli 26 anni, forse proprio per questo motivo il vero protagonista emotivo non è Nic, ma David, un uomo che ama suo figlio più di qualunque altra cosa. Che si è fatto carico anche del ruolo di madre, e che vive nel ricordo della spensieratezza e complicità di un tempo, ormai lontane anni luce. Adesso ci sono solo allontanamenti, bugie e vuoti. E tanta droga. Dall’erba all’eroina, fino al Crystal Meth, la droga che promette miracoli. Che ti fa sentire completo. Che colma il buco nero.
Perché un ragazzo che apparentemente ha tutto, è circondato dall’amore della famiglia, ama scrivere ed è uno sportivo, decide di farsi sgretolare anima, mente e corpo da ogni tipo di droga esistente?
Il film cerca di riflettere proprio su questo. Non sono le condizioni esterne di Nic a trascinarlo nel mondo della droga, ma quelle interiori. Quello che legge, quello che scrive, quello che sente dentro. Gli effetti collaterali. Nichilismo, introspezione, isolamento, ipersensibilità. Nic sente il vuoto e vuole riempirlo, un piccolo suicidio quotidiano dopo l’altro.
E come quando sei triste e ti dicono “dai, non piangere”, qui non basta dire “dai, smetti”.
Il film è un continuo alternarsi di guarigione e ricaduta – ai limiti della ripetizione – ma il senso ultimo del film è che tutto l’amore del mondo non potrà mai fermare un demone del genere. E questa è la fessura in cui si deposita il dolore di un padre che deve inginocchiarsi di fronte alla consapevolezza di essere impotente. Il personaggio di Steve Carell affronta infatti un vero e proprio arco di trasformazione. Una recitazione scarna, fatta sempre dalle stesse espressioni, un misto di comprensione e rassegnazione che dà il senso e lo spessore di una tragedia più frequente (e inaspettata) di quanto pensiamo.
I piani temporali si alternano in un disordinato avanti e indietro nel tempo che vuole sottolineare la lenta discesa agli inferi di un rapporto padre-figlio, tenero, totalizzante, unico. Questi flashback dovrebbero rendere la disgregazione del presente ancora più dolorosa.
L’emozione però fa spesso fatica ad arrivare allo spettatore, forse perché il calcolo e la scaltrezza di alcune scelte narrative sono poco nascoste. E la colonna sonora non aiuta. Si va sul sicuro con pezzi che spaziano dai Nirvana, Aphex Twin, David Bowie, Sigur Ros, che però non si amalgamano con le immagini e risultano anzi davvero poco calzanti. A volte il silenzio è la soluzione migliore.
La sfida vinta è quella di Chalamet, che se con Chiamami col tuo nome aveva dimostrato un talento naturale, qui fa un altro grande passo in avanti. L’attore riesce a mettere in scena una trasformazione fisica ed emotiva molto forte, che suscita in chi guarda emozioni contrastanti.
Se all’inizio è un adolescente introverso, timido, ispirato, curioso e pieno di interessi, poco dopo divene un concentrato di inquietudine, disagio e cupezza, mai davvero aggressivo, ma sempre con la mente affollata da pentimento e sensi di colpa in contrasto con la voglia estrema di “fare un po’ di festa”. Un’anima fuori controllo sull’orlo del burrone. Questo lo tiene a galla fra la compassione dello spettatore e la sensazione di repulsione e turbamento che non può non provocare.
Il rischio – soprattutto e proprio per aver scelto un volto così pulito come quello di Chalamet – era quello di farne un personaggio affasciante, il tipico bello e dannato, ma il film riesce a non cadere in questa trappola. L’empatia però arriva solo col personaggio del padre, che non può più trovare un motivo per difendere e salvare il proprio bellissimo ragazzo. La consapevolezza finale è che nel dolore si è soli.
Un film sicuramente un po’ esile, lontano dall’essere indimenticabile. Però Chalamet è incredibile e Carell da abbracciare. Ma soprattutto la tematica è importante ed è giusto parlane, ancora una volta, e provare a cercare delle risposte sul perché nessuno di noi sia fuori pericolo, come figlio e/o come genitore.
Margherita Giusti Hazon
TRAILER ITALIANO
Laureata in Lettere Moderne, Margherita lavora alla Fondazione Cineteca Italiana, collabora con la rivista Fabrique du Cinéma, ha in corso alcuni progetti come sceneggiatrice e ha pubblicato il suo primo romanzo, CTRL + Z, con la casa editrice L’Erudita.
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