Recensione del film Call me by your Name (Chiamami col tuo Nome) con Timothée Chalamet e Armie Hammer, in anteprima alla Berlinale 2017.

Michael Stuhlbarg, Timothée Chalamet e Armie Hammer in Call me by your Name
© Sony Pictures Classics
Call me by your name. Chiamami col tuo nome. Un titolo che ti tiene sulle spine, di cui cerchi il significato sino dalla prima inquadratura e quando lo scopri sei già caduto tra le sue braccia. Perché Call my by your name è un lungometraggio che ti rapisce e scombina il cuore. Call me by your name è la nuova fatica dietro la macchina da presa di Luca Guadagnino, arrivato a Berlino, nella sezione Panorama, dopo aver debuttato al Sundance. Ed è la visione più bella che ci è capitata sino ad ora.
La pellicola narra una storia splendida che stupisce per la sua dolcezza. Ti fa innamorare dei suoi personaggi e te li rende indispensabili. È come una pietanza rara e delicata che deve essere assaporata piano piano, sino in fondo per non essere dimenticata.
È la storia di un giovane diciassettenne, Elio, che ama leggere e scrivere musica. Non è introverso, è solo quieto, attento e curioso mentre attraversa l’impervio sentiero che porta all’età adulta, in cui tutto è più incomprensibile e difficoltoso. Elio è figlio di un professore universitario che ogni estate ospita in casa propria un dottorando. Questa estate l’“usurpatore” della sua camera si chiama Oliver, è americano, ha 24 anni ed è di una bellezza sfacciata. Il suo charme conquista subito tutti: la famiglia, il paese, soprattutto, Elio.
Travolto (e quasi tramortito) dalle emozioni, Elio si trova quindi difronte ad una delle prove più difficili: la scoperta dei sentimenti, del desiderio, della passione. Perché sulla sua via il fato ha messo lo splendido Oliver. I ragazzi si conosceranno, si stuzzicheranno, prima non si comprenderanno, poi legheranno e faranno amicizia. La loro sarà un’intesa preziosa, li arricchirà e li cambierà per sempre. Vivranno una di quelle esperienze uniche e invidiabili, una meravigliosa e struggente storia d’amore.

Timothée Chalamet in Call my by your Name © Sony Pictures Classics
Quella che Luca Guadagnino ci regala è un’opera luminosa e toccante. Ricolma di odori, sapori, note e rumori. Le inquadrature sono calde, sudate, respirano. Gli occhi dei protagonisti paiono rivolti a noi. Ci sentiamo scrutati, controllati. Siamo convinti ci bramino, ci vogliano dall’altra parte dello schermo. Ci illudono di poter far nostre le loro sensazioni. Quando i loro corpi vibrano, noi smettiamo di respirare. Quando loro sono lontani, noi proviamo un peso al petto. Quando non riescono ad esprimersi, vorremmo abbracciarli e parlare per loro. Call me by your name è sensuale ma non indiscreto; è coinvolgente ma non soffocante; è diretto ma mai sfrontato. È una poesia di raro equilibrio.
Tratto dall’omonimo romanzo di formazione di André Aciman, il film idealmente chiude la trilogia del desiderio (composta da I am Love, A Bigger Splash e Call me by your name, appunto) ma speriamo non ci privi di questo modo di narrare per immagini che ieri ci ha fatto dimenticare l‘originale da cui era tratto A Bigger Splash e oggi ci ammalia con la bravura di Timothée Chalamet e Armie Hammer. I due riescono con piccole e solo accennate movenze, con sguardi fugaci e ammiccamenti a rendere la nascita e l’evoluzione del rapporto tra Elio e Oliver reale, importante, da vedere.
Call me by your Name, dopo l’ottima accoglienza oltre oceano ha replicato in Germania. Ora possiamo solo sperare arrivi presto nei nostri cinema. È commuovente sino alle lacrime.
Vissia Menza

Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”