Recensione di Attacco a Mumbai, il film tratto dai terribili fatti di cronaca del 2008 con Dev Patel e Armie Hammer in sala dal 30 aprile 2019.
Mumbai, novembre 2008. Il mondo si ferma di fronte ad una spaventosa serie di attacchi terroristici che hanno cambiato per sempre la storia della città e la memoria dei suoi abitanti. Oltre a quella di tutto il mondo che in quelle drammatiche ore si è fermato a guardare con il fiato sospeso.
In quei giorni infatti, la città indiana, cosmopolita e vero melting pot di culture, conosce le ore più terrificanti della sua storia recente, quando un gruppo di attentatori kamikaze la mette sotto assedio e porta a termine attacchi coordinati in alcuni dei luoghi più frequentati dai turisti e non solo.
Uno dei simboli della città è il lussuosissimo Taj Mahal Hotel, luogo prediletto di reali, politici, attori e ricchi di tutto il mondo. La sua maestosità ed eleganza sono tali che durante gli attentati molti cittadini hanno cercato rifugio proprio al suo interno, dando per scontato di essere al sicuro. Così purtroppo non è stato. E un gruppo di attentatori è riuscito ad entrare da quelle stesse porte aperte per accogliere chi cercava protezione. Rendendo le sue stanze teatro di una mattanza fatta d terrore e crudeltà che sembrava senza fine.
Il regista australiano Anthony Maras, qui alla sua prima prova con un lungometraggio, ha nelle intenzioni il mettere in scena una delle pagine più nere della natura umana e del terrorismo religioso.
La sua è stata una ricerca minuziosa di testimonianze dei sopravvissuti. E soprattutto del personale dell’hotel, protagonista di atti di eroismo stando sempre accanto ai propri ospiti e riuscendo a trarre in salvo centinaia di vite.
Attraverso una sceneggiatura che fa leva sui ricordi di chi quell’inferno l’ha vissuto (e mai dimenticato) e sui notiziari dell’epoca, il film ci fa vivere i fatti più sanguinosi da dentro il ventre della balena: ci catapulta nelle camere in cui gli ospiti si nascondevano, negli ascensori, nella hall trasformata in campo di battaglia. Fino al club esclusivo agli ultimi piani che è diventato l’ultimo luogo sicuro e di speranza grazie alla sua inaccessibilità.
Tutto questo intrecciando le vite dei vari personaggi i quali vengono da realtà sociali che non potrebbero essere più diverse. E che provano quanto sia inclusiva la natura di questo albergo. Dove il portiere sikh lavora a stretto contatto con chef stellati in un armonioso ensamble per cui la somma diventa magicamente maggiore delle sue parti.
L’armonia dei lavoratori e degli ospiti viene ovviamente contrapposta alla ferocia degli assassini.
Assassini che però qui non vengono, volutamente, ritratti come terroristi senza pietà ma, anche loro, in un certo qual modo, vittime del sistema. A loro, poco più che ragazzi, viene promessa la gloria eterna ed una cospicua somma di denaro alle rispettive famiglie. Il lavaggio del cervello cui sono stati sottoposti mostra però alcune crepe. E qualcuno di loro si accorge di essere solo un ingranaggio in una catena in cui non ha né potere né via d’uscita.
Per quanto riguarda il cast, Dev Patel, famoso dal tempo di The Millionaire, nella parte del cameriere sikh di povere origini Arjun, fa il suo portando sullo schermo l’onestà e l’etica di un uomo che lavora per mantenere la sua amata famiglia. L’attore indiano Anupam Kher interpreta lo chef Oberoi e ne lascia trasparire non solo il coraggio ma anche la razionalità e l’attitudine a fare da padre sia ai dipendenti sia agli ospiti.
L’attrice britannica di origine iraniana Nazanin Boniadi interpreta la bella Zahra, innamorata del marito americano (Armie Hammer) e del loro figlioletto. E’ attraverso i suoi profondi occhi neri che si assiste ad una delle scene più forti del film quando, messa faccia a faccia con uno dei terroristi, mostra il lato dell’Islam in cui crede. Un islam uguale ed opposto a quello che gli integralisti leggono sotto la chiave dell’odio.
Questo è quello che riguarda la coralità della pellicola che è sicuramente il suo punto positivo. Il dubbio che sorge durante la visione è però più su quello che sta dietro al mostrare quanto succede in un attacco del genere.
E’ necessario e corretto trasformare un atto terroristico, se pur con una forma che sovente richiama quella del documentario, in un film d’azione?
La versione per grande schermo, seppur mossa da intenti positivi, non spettacolarizza troppo un tema che non dovrebbe essere trattato con leggerezza? E in una sala cinematografica non pare anche a voi stonato che gli spari e le urla di dolore si mischino allo sgranocchiare dei pop corn?
La parola passa ora allo spettatore.
Anna Falciasecca
Bionda, sarcastica, appassionata di regia e di viaggi cerca di unire le sue passioni scrivendo un blog di viaggi, sceneggiature (che stanno comode nei cassetti) e recensioni. Il suo motto è “Blond is a state of mind”, modifica continuamente idea e tiene i piedi in diverse scarpe, tutte rigorosamente tacco 12. Le uniche cose che non cambierà mai sono: Woody Allen e Star Trek, di cui è incallita fan.
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