La recensione di Glass, il nuovo film di M. Night Shyamalan con Bruce Willis, James McAvoy e Samuel L. Jackson al cinema dal 17 gennaio.
E’ successo durante la seconda giovinezza di M. Night Shyamalan, quella ricavata faticosamente, dopo un tunnel di flop micidiali, con le unghie (The Visit, 2015) e con i denti (Split, 2016).
Precisamente, nella scena post crediti del godibilissimo Split, in cui il regista creò un aggancio furbo e adorabile con un altro suo film (il migliore probabilmente, Unbreakable – Il Predestinato) infilando una colonia di pulci nell’orecchio della platea.
Neanche il tempo di congetture ed elucubrazioni ed è lo stesso Shyamalan a confermare (qui) il progetto di ricondurre a un denominatore comune l’indomabile Belva di Split con il giustiziere incappucciato di Unbreakable.
Il denominatore è Glass, titolo del film nonché nome “di battaglia” dell’affascinante personaggio di Samuel L. Jackson, opposto a Bruce Willis in quel piccolo capolavoro di inizio millennio.
Glass si ritrova così a sintetizzare due film provenienti dalla stessa penna ma con visuali e sapori differenti, con la filosofia morale ed esistenzialista dei supereroi moderni di Unbreakable e quella più psicoanalitico-horror (e nettamente più scanzonata) di Split: qual è l’output?
In due semplici mosse – la caccia del sorvegliante David Dunn (Willis, fiacco) allo psicotico dalle multiple personalità Kevin (James McAvoy) e l’arresto congiunto – Shyamalan porta i suoi buoni e cattivi nell’ospedale psichiatrico meno sorvegliato del mondo. Dove la compassata psichiatra Ellie Staple (Sarah Paulson) li studia e cerca di convincere della natura terrena e razionale dei loro poteri e disturbi. E dove, ma lo sapete già, è internata la mente diabolica che risponde al nome di Mr Glass.
Nell’imperscrutabile testa afro di Glass prende così corpo un piano di dimensioni fumettistiche per ristabilire i ruoli nel mondo e le gerarchie di una città in cui (almeno secondo lui) si annidano grandi poteri e grandi responsabilità.
Ma anche un anti-nerd come me sa che il bene, il male e il loro equilibrio sono concetti più fragili delle ossa di Glass…
Tutto questo, fondamentalmente, lo sapevamo già dai film precedenti e questo, essenzialmente, è il motivo principale per cui Glass diventa un film senza vitalità.
Svuotato delle genesi e della mappatura dei loro valori, confini e destini, il trio protagonista scopre senza sussulti se è nato per essere normale, anormale o paranormale, ribadendo perlopiù storie e ruggiti in replica.
Il non plausibile va bene, del resto l’universo unificato di Shyamalan lo presuppone, quello che non va è la pigra, prevedibile traiettoria, che presta la misteriosa poesia di Unbreakable all’azione tensione di Split – e viceversa – senza riavere molto indietro.
Anche sopportando una Paulson irritante e stereotipata fino in fondo, e scoprendo cose, la fatica e la distanza si fanno sentire, senza un significato (quello che era vitale e magnifico in Unbreakable) che sembri genuino. Nemmeno il divertimento di serie b, da sempre e anche nei peggiori frangenti marchio di fabbrica di M. Night.
Ricondotti a guerre secondarie figli, amiche, madri e vittime delle puntate precedenti, come la brava Anya Taylor-Joy, ma tutti sembrano pensare come Pezzali, in coro: “che cos’è che faccio qui?”.
Voto: 5/10
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole