La recensione in anteprima di Suspira, il remake del film di Dario Argento firmato Luca Guadagnino, al cinema dal 1° gennaio 2019.
Per Luca Guadagnino, riprendere e rielaborare il suo film del cuore Suspiria (1977, Dario Argento) era un chiodo fisso martellato nella testa fin dall’inizio della sua ormai ventennale carriera.
Un capriccio camuffato da tributo, o viceversa, che sembra quello che avevo a sedici anni di comprare un ukulele azzurro e diventare l’anima musicale e artistica di vacanze, feste e serate tra amici.
Quello che accadde a me, fu che comprai l’ukulele largamente fuori tempo massimo e a nessuno interessava più (se mai fosse interessato a qualcuno) che lo sfoderassi e strimpellassi con posa da menestrello consumato. Così da Ebay l’ukulele venne, e su Ebay tornò subito dopo.
Approccio così Suspiria di Guadagnino, col pensiero e col timore che il regista appena consacrato da Chiamami Col Tuo Nome abbia fatto la scelta opinabile nel momento sbagliatissimo: entri nelle grazie di Academy, critica e pubblico al di qua e al di là dell’Oceano, ricevi carta bianca rispetto ogni mossa futura e tu che fai, ti togli gli sfizi di gioventù?
Ma ognuno ha il suo ukulele azzurro e così Guadagnino si prende il suo, che ha la forma di una morbosa, tentacolare e multistratificata rivisitazione di uno dei più grandi classici dell’horror e della sua estetica. E riesce non solo a uscire indenne dalle macine puriste, ma a confezionare addirittura un grande film, che ha tutti i requisiti per stare in piedi da solo, grazie a una coltellata trasversale, enigmatica e sensuale nel ventre della famigerata Tanzschule.
Le premesse di Suspiria-bis sono fedeli, con l’allieva americana Susie (Dakota Johnson) che arriva in una prestigiosa scuola di danza tedesca (Berlino, stupendamente delineata, rimpiazza Friburgo) dove prende forma l’élite della disciplina, mentre proprio la disciplina e il rigore ne sono i tratti distintivi; oltre, ovviamente, a misteriose sparizioni di ballerine e ad inquietanti presenze che pulsano dietro le pareti.
Suspiria quasi doppia il suo predecessore in quanto a durata e, nel lungo itinere, prende progressivamente le distanze dalla sequenza di eventi e dallo stile di Argento e dimostra la maturità narrativa, soprattutto “sensoriale”, di Guadagnino: che fa proprio l’immaginario stregonesco del film per poi rielaborarlo come farebbe un fan dello stesso (ma anche di Żuławski) in una notte con 39 di febbre e/o dopo aver ingurgitato una pizza ai 4 formaggi.
Detto, sia chiaro, in termini lusinghieri: Suspiria sa spaesare, stordire e turbare in modo originale. Passando da progenie di un impareggiabile film anni settanta a personale incubo dell’occulto deformato, non di quelli che feriscono ma di quelli che stravolgono e bagnano le coperte.
Nell’avvolgente crescendo, vengono a dare manforte anche la fedelissima Tilda Swinton, che si fa in tre (ruoli) per il film, e i suoni di Thom Yorke, voce dei Radiohead. E poco importa che il ruolo di facciata sia affidato alla Johnson, carismatica come il suddetto ukulele: il magma ribolle altrove, nei sospettosi meandri delle vicende e dell’edificio, verso cui il film avanza a lunghe falcate.
Fino ad arrivarci, in un finale di grande impatto rituale, che svela tutto quello che era stato fin lì furbescamente centellinato.
Quello che sembrava un progetto harakiri diventa così un angosciante gioiellino da sviscerare mentalmente dopo la visione. Ben più di un regalo da crisi di mezza età di Guadagnino per Guadagnino.
E io, rinfrancato, cerco su Ebay se c’è qualche ukulele in offerta.
Voto: 8/10
Luca Zanovello
Responsabile della sezione Cinema e del neonato esperimento di MaSeDomaniTV (il nostro canale Youtube) Luca, con grazia e un tocco ironico sempre calibrato, ci ha fatto appassionare al genere horror, rendendo speciali le chiacchiere del lunedì sulle novità in home video, prima di diventare il nostro inviato dai Festival internazionali e una delle figure di riferimento di MaSeDomani. Lo potete seguire anche su Outside The Black Hole