Recensione di Notti Magiche, il nuovo film di Paolo Virzì che ha chiuso la Festa del Cinema di Roma in sala da giovedì 8 novembre 2018.
Chi non ricorda le notti magiche dei mondiali di Italia 90? Sera d’estate in cui ci s’incollava al televisore, anche se non si capiva nulla di calcio. Notti in cui l’aria aveva un odore diverso, quello della speranza. Oggi a ripensare a quel periodo le immagini hanno mantenuto un non-so-che ma i colori stanno sbiadendo. A prolungare il loro calore ci pensa la pellicola di Paolo Virzì presentata in anteprima a Roma.
Notti Magiche, in sala dall’8 novembre, ci porta indietro nel tempo, durante le partite in cui gli italiani sognavano di vincere la coppa del mondo. Una sera, quella in cui la Nazionale viene eliminata dall’Argentina, un’auto vola nel Tevere. All’interno, il corpo senza vita di un noto produttore cinematografico sulla via del tramonto, padre indiscusso di numerose pellicole “popolari” zeppe di donnine scosciate. Una volta ripescato l’uomo, i quesiti da risolvere sono molti ma, grazie a una provvidenziale fotografia, tre ragazzi vengono presto condotti al Comando dei Carabinieri per una lunga notte di spiegazioni e rivelazioni.
Una notte in cui i tre, aspiranti sceneggiatori, conosciutisi per caso ad un concorso, condivideranno con una platea in uniforme, la loro iniziazione al “cinema”: una realtà costellata di avvocati, politici, leccapiedi, astri nascenti e stelle cadenti. Un mondo impolveratissimo, saturo di vecchi tromboni che si sbrodolano addosso e sfruttano i giovani, a cui non passano il testimone, convinti che i ragazzi siano vuoti e inutili. Di fatto, temono solo di essere dimenticati ancor prima di morire.
Il microcosmo in cui sono stati risucchiati i tre neo-amici, è la versione romanzata di quello che un esordiente Paolo Virzì si è ritrovato difronte. Il regista ha, infatti, deciso di rendere omaggio al Cinema Italiano con un Amarcord dai contorni sfumati che ci rammenta le vecchie Polaroid e ci riporta agli anni Novanta. Quindi eccoci qua, proiettati indietro di qualche decade, a Roma, con una macchina per scrivere sulle gambe, nell’ufficio di uno sceneggiatore. Oppure ad una cena “di lavoro” dove ci vengono sfilati i risparmi alimentando le nostre false speranze. O, ancora, ad un pranzo in un bel palazzo borghese del centro, in compagnia di chi vuole spianarci la strada ma sappiamo sarà soltanto un peso. Perché i sogni sono magici mentre la realtà lo è molto meno.
Il nuovo film di Virzì è diverso da come ce l’aspettavamo. Non è una questione di colori o di colonna sonora, neppure di dialoghi (che sanno regalarci sorrisi). Bensì di un’asticella che è rimasta immobile o si è abbassata (?) rispetto al passato. E di una miriade di dettagli dimenticati durante la narrazione che finiscono proprio col privarci della… magia.
Sull’inarrestabile ascesa del regista ci scommettevano in tanti, soprattutto dopo il debutto americano con Ella & John – The Leisure Seeker. Va da sé che la notorietà limiti la possibilità di digressioni dalle aspettative del pubblico. Virzì, invece, è come se avesse messo la sua arte in stand by per concedersi un viaggio nella valle dei ricordi. Il racconto che confeziona è di quelli in cui l’autobiografico si fonde con l’immaginario – e con qualche stereotipo.
In Notti Magiche le figure a cavallo tra il geniale e il grottesco non mancano, sia chiaro. E, probabilmente, per questo, son rimasta attenta sino ai titoli di coda. Anche dopo essermi accorta che i protagonisti fossero finiti in uno strano girotondo e di faticare a cogliere tutti i rimandi al cinema made in Italy. Sono rimasta li, in attesa dell’exploit che, neanche a dirlo, non è mai arrivato.
Appena ci sentiamo a nostro agio con trama e personaggi, raggiungiamo il punto di disillusione, e quando la poesia svanisce poi notiamo solo le note stonate. Oltre alle citazioni, che volutamente ignoriamo, abbiamo leggi della fisica violate (i veicoli carambolano giù dai ponti senza scalfire i parapetti – cose che non accadono neppure in Fast ’n Furious), fotografie in perfette condizioni dopo essere state in ammollo, interrogatori di gruppo (!) con lezioni di vita e di scrittura a latere (fantascienza..) e dobbiamo convivere col dubbio che i protagonisti stiano interpretando loro stessi (un incubo). Oltre ad una seconda parte dove sopraggiungono persone che non sentivamo la necessità di incontrare.
Insomma, il divertimento dura poco. Meglio allora aggrapparci al ricordo di quella Pazza Gioia che ci ha fatto impazzire e andare oltre. Mettiamola così: titolo da maneggiare con cura.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”