“Se l’amore non ti ha fatto commettere mai neanche la più piccola follia, vuol dire che non hai mai amato” (W. Shakespeare)

la pazza gioia locandina

E di amore ne hanno bisogno molto Beatrice e Donatella. Beatrice e Donatella sono oramai sole con i loro ricordi, con loro cuori infranti, con le loro follie. Entrambe vivono in una magnifica villa con parco, in un posto incantevole in cui donne dal passato difficile trovano supporto, provano il recupero ed evitano di finire dietro le sbarre. Beatrice e Donatella sono ospiti di una comunità terapeutica per persone con disturbi mentali, sono sorvegliate notte e giorno, non possono uscire. Nessun braccialetto elettronico e nessuna sbarra alle finestre, a limitarle ci pensano i tiri mancini delle loro menti e gli errori commessi in passato. A ben vedere, però, nella loro follia c’è più lucidità e voglia di vivere di quanto si creda di primo acchito.

Beatrice Morandini Valdirana è nobile, è bella ed è svalvolata. Con tutto il suo parlare senza sosta dei tempi andati pare essersi isolata in una fantasiosa bolla dove il mondo è romantico, il bello regna sovrano e la quotidianità è un idillio. Cosa sta cercando? La felicità quella che è ovunque, “In una tovaglia di fiandre, nei bicchieri di champagne, nel bello che è ovunque“. La duchessa ha il volto di Valeria Bruni Tedeschi, mai cosi in forma, spigliata, misurata e perfetta in una parte. La sua Beatrice è colorata, sicura, matta da legare ma con un cuore enorme, di marzapane, da amare. Nonostante i suoi trascorsi e il suo presente, Beatrice stringerà un’alleanza con Donatella, la sua antitesi, l’ultima arrivata in Villa.

Donatella è magra, stremata, silenziosa, sofferente. Donatella nasconde un dolore immenso e con quella “matta” di Beatrice sorriderà, correrà e tornerà a sperare. Donatella è Michaela Ramazzotti, ad ogni prova sempre più matura e brava. Qui è scarnificata ma bella negli sguardi fragili, nelle lacrime nascoste, nell’incedere insicuro.

Photo: courtesy of 01 distribution

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Ci sono vite difficili da vivere. Ci sono storie difficili da raccontare. Ci sono film difficili da fare, in cui è facile mettere un piede in fallo e capitombolare rovinosamente. Dopo Il Capitale Umano, Paolo Virzì accetta la sfida di un dramma duro e insidioso, non ha paura di scivolare e vince su tutta la linea. La Pazza Gioia va oltre le aspettative, è una piacevole sorpresa che ti rallegra la giornata: è un film solido, con una sceneggiatura frizzante e attenta, in grado di stemperare lo strazio in piccole e fini battute, dispensa sarcasmo con eleganza, è fantasioso, è realistico, è bello.

Incorniciato da una fotografia calda, dorata, che abbraccia dolcemente le due anime perse, il lungometraggio corre veloce e ci svela i retroscena che angosciano le protagoniste con sorprese curate e cosi ben cadenzate da farci piangere sommessamente verso i titoli di coda. I loro trascorsi aprono strani cassetti della nostra memoria, ci fanno sorridere e sobbalzare, perché ciò che raccontano, pur apparendo surreale e avvolto dall’aura magica tipico dei patinati racconti per il grande schermo, è vero, si trova ovunque e può accadere a chiunque, in qualsiasi momento.

La forza dell’amore e l’importanza di essere ascoltati e capiti, di avere una famiglia che si stringe intorno a te nel momento del bisogno; avere la fortuna di incontrare chi non ti spezzerà il cuore ed è disposto a volerti bene nonostante i tuoi difetti, gli errori e le convinzioni sbagliate; e avere un’amica che si sente felice quando ti strappa un sorriso, sono solo alcuni dei preziosi concetti su cui si sofferma la pellicola di Virzì. Un’opera che sa essere leggera e profonda, divertente e drammatica, che ci fa sentire tutte un po’ matte e normali. È impossibile non amarla.

Presentata qualche giorno fa in anteprima a Cannes 2016, nella cornice della Quinzaine des Réalisateurs, dove è stata accolta con applausi copiosi più che meritati, arriva oggi nei cinema pronta a conquistare anche voi. Inebriante.

Vissia Menza