Sapeva di non poter fotografare la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino, mostrando l’orrore di un intero popolo attraverso un bambino”.

C’è tanta verità nelle parole che John Steinbeck, amico e biografo, usa per descrivere le immagini che Robert Capa scatta durante la Guerra di Spagna del 1936-39. Capa è un fotografo di guerra nel senso più intimo e meno scontato del termine. Un fotografo di guerra perché insegue la guerra e fa della guerra il suo percorso, oltre che il suo lavoro – lui che si è sentito un esule per tutta la vita, dapprima giovane ungherese scappato dalla terra natia per motivi politici e poi peregrino artista e testimone per scelta. Ma fotografo di guerra anche perché lui la guerra la vuole capire. Vuole capire che effetti abbia sulla gente che la respira tutti i giorni, che ce l’ha riflessa negli occhi, stampata sulla pelle, incrostata nei polmoni. E l’unica via per riuscirci è quella di viverla insieme loro, di fare della loro esperienza la sua esperienza.

Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino” ripete agli amici appena conosciuti al bar, mentre offre loro da bere oppure li batte a carte. Capa parla, discute, ride con le persone. Impara a conoscerle, a capire che cosa pensano, cosa provano. E solo dopo le fotografa. Non sei ancora abbastanza vicino.

Perché solo così riesce a restituire un volto a quelle maschere di fango e sangue che la guerra è solita disumanizzare. Lo fa catturando l’umanità dei gesti di un medico americano mentre fascia le ferite di un prigioniero tedesco durante l’estate del ’43. Oppure immortalando la disillusione negli occhi di una bambina yemenita in un campo di smistamento israeliano.

Il dolore, l’atrocità della guerra secondo Robert Capa non si riscontrano solo nella battaglia, nel soldato o nella morte. L’orrore della guerra si ritrova soprattutto nell’esperienza delle persone che quella guerra la abitano, nell’umanità che sopravvive, nella dolcezza che resiste. Ed è così che Capa rende omaggio a quegli uomini che lottano, nolenti. Li rende immortali con la propria arte, con la sua testimonianza. Non sei ancora abbastanza vicino.

La retrospettiva che l’Arengario della città di Monza ospita – una selezione delle più belle fotografie dell’artista dagli archivi dell’Agenzia che lo stesso Capa ha fondato nel 1947, la Magnum –  ha il merito di rendere uno spaccato completo dell’operato di Robert Capa, restituendo allo spettatore l’intento che guida il fotografo durante i suoi viaggi. Immortalare l’emozione della guerra sul volto delle persone. Raccontare la battaglia solo dopo aver scelto da che parte stare. E la sua di parte era sempre la parte dell’uomo che resiste nonostante tutto. La parte difficile, quella di chi sopravvive all’orrore e tira avanti. La parte della resistenza non politica, ma umana.

Non sei mai abbastanza vicino.

Federica Musto


INFORMAZIONI UTILI
Robert Capa: Retrospective

Fino al 27 gennaio 2019
Sede: Arengario, piazza Roma, Monza
Orari: da martedì a domenica 10.00 – 19.00; Lunedì chiuso
Info mostra, biglietti, mappe sul sito: www.mostrarobertcapa.it

 

Foto: si ringrazia l’ufficio stampa