VENOM: un altro caso di “Sindrome di Waterworld”

Recensione di Venom, il film di Ruben Fleischer con Tom Hardy al cinema dal 4 ottobre 2018.

la locandina del film Venom

Secondo il manuale cinediagnostico, soffre della Sindrome di Waterworld quel film, medio o mediocre, che assurge ai disonori della critica ricevendo acerrime ed eccessive frustate, finendo per rappresentare il liberatorio archetipo del reietto, del capro espiatorio e di tutto il brutto dell’universo.
Prende il nome dal flop anni novanta con Kevin Costner, infetta nel corso degli anni numerosi film, non ultimi i cinecomic L’Uomo D’Acciaio (2013) e Suicide Squad (2016), che finiscono in irreversibile quarantena più per elezione che per effettivi demeriti o eclatanti dislivelli qualitativi.

Venom di Ruben Fleischer (Benvenuti A Zombieland, Gangster Squad) arriva al cinema anticipato da tutti i sintomi della suddetta malattia, che seguono in parallelo la curiosità e i ronzii di fissati di fumetti, fissati di cinema e il pericoloso mix dei due.
Non aiuta il protagonista lussuoso Tom Hardy, che due giorni prima dell’uscita del film afferma con disappunto: “le parti belle sono state tagliate”. E versa galloni di benzina sulle torce già bollenti dei nerd-inquisitori.

In Venom, Hardy è il reporter televisivo Eddie Brock, felicemente fidanzato con Anne (Michelle Williams), perennemente alla ricerca di qualche scoop-denuncia alla Gabibbo. Quando Brock intervista il losco e avido imprenditore Carlton Drake (Riz Ahmed) in merito alle sospette attività della sua azienda Life Foundation, si fa dall’oggi al domani un nemico che gli azzera lavoro, carriera ed esistenza.
Brock si trova solo e abbrutito, poi nuovamente e casualmente alla Life e di fronte alla minaccia aliena che Drake coltiva in gran segreto: un velenoso parassita, Venom, gli entra sottopelle e lo trasforma in un ibrido dualistico e incontrollabile.

Tom Hardy in una scena del film Venom – Photo: courtesy of Sony Pictures

Un equivoco è: sono fumettisticamente un profano.
Un altro equivoco è: i nerd spesso giudicano un film sulla base di quello che si aspettano.

La soluzione dei rispettivi problemi è prendere Venom per quello che è, un film di mostri un po’ vintage, ironico senza esagerare, disallineato rispetto ai pantagruelici kolossal Marvel e fiero (o sereno, almeno) di non esserlo.
Lineare e cerebralmente poco impegnativo, promuove la posa depressa da perdente di Tom Hardy (in quale altro film potreste vederlo a mollo in un acquario nel bel mezzo di un ristorante raffinato?) e gioca con i dilemmi simbolici e non di un uomo posseduto e divelto dalla bestia istintuale e onnipotente.

La politica – e questo si sapeva da tempo – è quella del “PG-13”, della violenza tamponata e del sangue immaginato, cosa che limita le scorribande di Brock-Venom e la malvagità di Drake (ma Ahmed è un buon villain, promosso) per mandare al cinema i preadolescenti e ai matti gli amanti del cupo fumetto. Un compromesso che non rovina lo spirito di Venom, che non lascia il segno ma neanche le patacche apocalittiche che sentirete, e che equivale calcisticamente a un pareggino che smuove la classifica. La sconfitta totale, quella sì, è il doppiaggio di Hardy, la cui voce cavernosa diventa tragicamente pulita e sbarazzina.

Soundtrack con Eminem, Pusha T, Run The Jewels, etc… e ovviamente non uscite sui credits.
Ho visto malattie peggiori.

Voto: 6/10

Luca Zanovello

 

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