Recensione di Capri-Revolution, il nuovo film di Mario Martone con Marianna Fontana, dal 13 dicembre al cinema.

La locandina del film Capri-Revolution

La locandina del film Capri-Revolution

Ad accompagnarci verso la chiusura di questa 75ma edizione del Festival di Venezia ecco il terzo e ultimo film dei registi italiani in concorso, Capri-Revolution di Mario Martone. Ultimo tassello di un’ideale «trilogia sull’Italia» dagli anni del Risorgimento a quelli della Prima Guerra Mondiale, Capri-Revolution sembra riprendere e portare a maturazione alcune di quelle tematiche già accarezzate dal regista nei precedenti Noi credevamo (2010) e Il Giovane Favoloso (2014). I protagonisti sono ancora una volta giovani, sono ribelli, sono «la testimonianza e il desiderio di raccontare un’Italia che non è doma, che sente la spinta a cambiare e a interrogarsi».

A interrogarsi soprattutto sulle relazioni umane, sui rapporti che legano l’individuo e la comunità, l’espressione artistica e la dimensione naturale. Sfondo di questa complessa ricerca estetica è la Capri primitiva, incontaminata, di inizio ‘900. Su quest’isola «omerica» vive nella più perfetta armonia (o quasi) una comunità naturista e pacifista, antesignana di alcuni movimenti socio-politici maturati poi in Italia a cavallo degli anni ’60 e ’70. É una comunità che sublima in sè alcune delle più importanti esperienze comunitarie del secolo scorso: quella di Diefenbach a Capri, quella di Ida Hofmann su Monte Verità (Canton Ticino), quella dei Verdi in Germania. Capri-Revolution mette in comunicazione questi mondi diversi e li fa scontrare con una realtà più arcaica e materialista.

Reinout Scholten Van Aschat e Marianna Fontana in una scena del film Capri-Revolution  - Foto di Mario Spada

Reinout Scholten Van Aschat e Marianna Fontana in una scena del film Capri-Revolution – Foto di Mario Spada / Courtesy of 01 Distribution

Incarnazione di questa realtà è Lucia (Marianna Fontana) o meglio: la sua famiglia. Cresciuta fra le mura di un rigido patriarcato, Lucia è una giovane capraia che tenta la via dell’emancipazione secondo modalità misconosciute dalla civiltà rurale cui appartiene. Il prezzo che dovrà pagare per questo è la derisione e l’allontanamento dei fratelli Antonio e Vincenzo (rispettivamente Gianluca di Gennaro ed Eduardo Scarpetta). La via scelta da Lucia è quella del pacifismo, del vegetarianesimo, del naturalismo, dell’omeopatia e di altri valori divulgati dalla protocomunità hippie che vive «dietro la montagna» di casa sua.

Mentore di questa comunità è Seybu (Reinout Scholten van Aschat), un artista performativo che studia, attraverso l’arte, le relazioni fra la natura e gli esseri umani. L’arte non è però qui una ricerca estetica fine a sé stessa: è un vero e proprio strumento di relazione. E si manifesta in vari modi, primo fra tutti attraverso la danza. Da qui l’importanza delle coreografie, studiate con la professionista Raffaella Giordano, e delle musiche, composte ad hoc da Sascha Ring e Philipp Thimm. Proprio nella bellezza del corredo sonoro e nella magneticità dei paesaggi ritroviamo i più grandi punti di forza del film.

Una pellicola che, ahimè, scivola troppo velocemente nella prevedibilità di certi dialoghi (specialmente quelli a colpi di scienza Vs spiritualismo di metà film) e di certi profili psicologici (in primis quello del dottore – interpretato da un poco convincente Antonio Folletto), lasciando così insoddisfatta larga parte del pubblico lagunare. Peccato: la chiusa di Martone non si rivela pienamente convincente. Eppure, il magnetismo della sua interprete principale (tranquillamente in lizza per la Coppa Volpi) e della fotografia rendono l’epilogo di questo film interessante. Poetico e misterioso quanto la sua frase d’apertura: «Quest’isola compare e scompare continuamente alla vista / e sempre diverso è il profilo che ciascuno ne coglie / In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine / e che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo». Dal 13 dicembre nelle sale!

Alessandra del Forno

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