Non sono una patita di Frida Kahlo. E ammetto che cominciare con queste parole la recensione su una delle mostre più attese dell’anno non è proprio il massimo.

Ma c’è una cosa che devo riconoscere a Frida: ha sempre, ma proprio ogni volta, il potere di affascinarmi. Esercita nei miei confronti una sorta di appeal irresistibile: sarà il personaggio, così forte, così particolare, così moralmente imponente; sarà la sua storia personale tanto travagliata; sarà il fatto che sento di non riuscire mai davvero a decifrare la sua pittura, di sentire che non colgo tutto, che non capisco appieno, che mi sfugge inevitabilmente qualcosa. Sarà, forse, un insieme di tutte queste componenti. Ma una cosa è certa, ossia che la reazione alle sue mostre da parte mia è sempre la stessa: che donna.

Frida Kahlo - Photo credit Federica Musto

Frida Kahlo © Federica Musto

La mostra al Mudec si intitola Frida Kahlo. Oltre il mito, e il curatore Diego Sileo ci spiega che l’intento è proprio quello di scavalcare l’usuale interpretazione delle sue opere come un semplice sintomo dei suoi conflitti e delle sue problematiche, di salute o relazionali che siano. Un legame, quello tra la vita personale e l’opera dell’artista messicana, che seppure importante ha finito con il sovrastare ogni altra lettura possibile. La volontà della nuova, immensa – si tratta di più di cento opere tra dipinti, fotografie, schizzi e materiali d’archivio – esposizione di Milano è dunque quella di mostrare un altro volto di Frida: quello dell’artista in quanto tale. Oltre il suo travaglio, oltre il suo impegno, anche oltre il suo amore passionale e disperatissimo per Diego.

Eppure il mito c’è tutto, e si sente. Ma non sarebbe potuto essere diversamente, a mio avviso per lo meno. Anche perché esigere di slegare un nome come quello di Frida Kahlo dal suo personaggio, intessuto di politica, di dolore fisico, di forza morale è pressoché impossibile. Il risultato è quello di una pretesa senza riscontro reale, dunque solo discorso dagli addetti ai lavori per gli addetti ai lavori.

Frida Khalo, Autoritratto, 1940, (c) Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, México, D.F. by SIAE 2018

Frida Khalo, Autoritratto, 1940, ©Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, México, D.F. by SIAE 2018

Detto questo, la mostra è bella. Oltre che enorme. Gli spazi ampli del giovanissimo museo, allestiti con pannelli a campata unica dai colori accesi è riuscita. Altro merito è che i capolavori che ci si aspetta di trovare a una retrospettiva sull’artista messicana ci sono tutti, ma proprio tutti: diversi autoritratti tra i più noti, come quello del 1940 in cui Frida compare, su uno sfondo di foglie verdi, in compagnia di una scimmietta e un gatto nero; La colonna spezzata in tutta la sua terribile potenza emotiva; La mia nutrice e io; Diego nella mia mente. E non solo, sono presenti anche un paio di inediti scovati dal curatore in chissà quale collezione privata e un’intera mostra collaterale, estratto della collezione permanente, che funge da contesto culturale. Giro per le stanze che – mi viene spiegato – sono a carattere tematico: quattro corpose sezioni corrispondenti alla Donna, la Terra, la Politica e il Dolore. Sinceramente, trovo pretenzioso il tentativo di discernere queste quattro tematiche nell’opera della Kahlo: ogni quadro sembra pregno fino all’ultima goccia di colore di tutte e quattro le questioni, in parte uguale.

Frida Kahlo, Natura morta con pappagallo e frutta, 1951, © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust, Mexico, D.F. by SIAE 2018

Già, il colore. Ecco, oltre a tutte le parole, oltre alle sezioni, alle tematiche, ai discorsi e alle aspettative. Oltre anche al personaggio. A mio avviso è proprio il colore il vero protagonista dell’intera mostra. Lo si nota già nelle fotografie che ritraggono la donna in quei suoi abitoni tradizionali: il tono caldo, brillante delle assolate terre messicane scorre prepotente nelle vene di Frida. E si esprime nei suoi ritratti, anche quelli più macabri. Nelle sue lettere, nei suoi diari. Ma, soprattutto, meravigliosamente, nelle sue nature morte. È la prima volta che vedo dal vivo, proprio lì a solo un palmo dal mio naso, una delle sue ceste di frutti esotici. E sono meravigliose. Tanto, vivo, energico colore. Il giallo davvero giallo, quel giallo tiepido che profuma di sole. Quel rosso corposo, quell’arancio esuberante. Che spettacolo.

Niente, per me non esiste nient’altro, solo il colore. Frida, oltre il mito: che donna, ma, ancora di più, che colore.

Federica Musto

INFORMAZIONI UTILI:
Frida Kahlo. Oltre il mito

Mudec – Museo delle culture
Fino al 3 giugno 2018
www.mudec.it
Catalogo edito da 24Ore Cultura