L’Inganno: una rilettura femminile di una storia che danza su equilibri sottili

Recensione de L’Inganno (The Beguiled), il film drammatico al cinema dal 21 settembre 2017. 

Il poster italiano del film L’Inganno (The Beguiled)

L’Inganno (The Beguiled) è l’ultimo lavoro di Sofia Coppola che, per l’occasione, si cimenta nel riadattamento di un romanzo di Thomas P. Cullinan.

Virginia, 1864, guerra civile americana. La signorina Farnsworth (Nicole Kidman) si ritrova da sola a dirigere una scuola per ragazze all’interno di una villa isolata dal mondo, nelle cui vicinanze passa sporadicamente qualche soldato, unica fonte di informazioni dal fronte.
Insieme a lei, ad aiutarla nella gestione di tutti i giorni e a dividerne le incombenze, anche nell’assunzione del ruolo di modello per le giovani ospiti, c’è la disillusa e taciturna Edwina, interpretata da Kirsten Dunst, vera attrice feticcio della regista americana.

Le giornate trascorrono una uguale all’altra, tra una lezione di francese, una di cucito ed i lavori nel grande giardino, purtroppo malmesso e bisognoso di qualcosa di più delle cure che quelle donne riescono a dargli.

Tutto cambia quando una delle ragazzine trova nel bosco un militare ferito ad una gamba (Colin Farrell) e lo porta alla scuola perchè venga aiutato. Dopo un primo momento di stupore della direttrice, al Caporale John McBurney, viene concesso l’uso di una delle stanze vuote della casa che, per alcune settimane, diventerà non solo la sua personale camera in cui verrà curato, lavato e nutrito (dalle sapienti mani della Kidman… ovviamente), ma anche il luogo attorno a cui tutte le giovani, che di uomini non ne vedevano da tempo, graviteranno più o meno furtivamente alla malcelata ricerca delle sue attenzioni. Una lotta all’esclusività che porterà gli eventi ad un epilogo tanto rocambolesco ed imprevedibile, quanto fiabesco e promettente era invece stato il primo incontro.

Colin Farrell e Kirsten Dunst nel film L’Inganno (The Beguiled) © 2017 Focus Features LLC. All Rights Reserved.

La Coppola, riesce a descrivere e a dare un tocco personale, e riconoscibile, ad una storia che era già stata adattata per il grande schermo nel 1971 con nientemeno che Clint Eastwood nel ruolo del protagonista maschile (La notte brava del soldato Jonathan), oltre a cambiare decisamente le carte in tavola.

La regista riesce a far passare in secondo piano il machismo implicito nella situazione – ovvero l’impatto gratificante che ha la sola presenza di un uomo che, da ferito di guerra, si ritrova a lottare per ben altre vittorie, con sembianze molto più attraenti ed amorevoli di quelle dei soldati nemici – per mostrarci tutto dal punto di vista femminile. L’ingresso di un elemento esterno, in un quadro fatto di equilibri sottili, può, infatti, far virare in modo inaspettato il comportamento di donne e ragazze che fino a quel momento si lasciavano trasportare dalla vita convinte che il loro rifugio, fisico e psicologico, dal resto del mondo sarebbe stato un luogo sicuro ed immutabile per sempre.

La storia ambientata in una location unica senza escursioni esterne; il tema del senso di alienazione già ripreso in altre sue opere; una fotografia che abbiamo imparato a riconoscere e a distinguere, in questo caso particolrmente onirica e fiabesca; le scene fatte di dialoghi semplici ma incisivi; ed un gruppo di personaggi di tutte le età con ognuno i propri trascorsi, i propri sogni, le proprie ribellioni e la propria voglia di conferma (anche da occhi maschili), sono gli elementi che enfatizzano l’atmosfera di un racconto fuori dal tempo, surreale, che si trasforma in un film, sul cameratismo e sulla vendetta al femminile, da non perdere.

Anna Falciasecca

 

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