Un nome. Tutte le storie cominciano con un nome: un nome porta idee, fa progetti, regala un pezzetto di sé al mondo.

Anche la storia di oggi parte con un nome: Lady Florence Phillips. Moglie di un magnate britannico dell’industria mineraria trasferitosi in Sudafrica, Lady Phillips è una convinta collezionista d’arte che non riesce proprio a digerire di dover vivere in una città sprovvista di un museo d’arte.

Come si può vivere senza arte, come si sopravvive senza bellezza? Non si può.

Paul Signac, La rochelle, 1912 - mostra opere Lady Phillips

Paul Signac, La rochelle, 1912

Così Lady Phillips decide di vendersi quel bel diamante azzurro che le ha regalato il marito e di usare il ricavato per acquistare dei quadri. Si rivolge a Hugh Lane, amico e personalità eminente del panorama culturale anglosassone, e insieme scelgono i primi lavori.

È così che nasce la Johannesburg Art Gallery, dal nome di due amici che hanno dato al Sudafrica un pezzetto di sé: Lady Phillips e Hugh Lane.

Conosco il museo di Johannesburg perché mi è capitato spesso, nel corso degli studi, di incontrare opere collocate proprio lì, in Sudafrica. Avete idea di quanto sia lontano il Sudafrica? E di quanto (purtroppo) sia problematico da raggiungere? Immaginate di vedere per la prima volta su un libro o una rivista d’arte La Rochelle di Paul Signac. Colori chiari, brillanti, delicati. Un bellissimo esempio di pointillisme francese. Ve ne innamorate a prima vista. E poi leggete la didascalia e scoprite che la tela è collezionata a Johannesburg.

Non so voi, ma la mia reazione è la stessa di un bambino a cui dicono che le sue caramelle preferite sono andare fuori produzione. Stop, fine, mai più. Non è piacevole.

Poi un giorno, gironzolando per la mia città, vedo un cartellone pubblicitario: “Da Monet a Bacon. Capolavori della Johannesburg Art Gallery” in mostra alla Villa Reale di Monza.

Derain, Dalie - mostra opere Lady Phillips

Derain, Dalie

Inutile dire che mi ci sono fiondata. Johannesburg, i quadri di Johannesburg. Quelli lontani, troppo lontani. Quelli – tanti – che mi ero quasi rassegnata all’idea che probabilmente non li avrei visti mai. E invece adesso sono qui, a due passi da casa.

La mostra merita la visita? Oh, si. La selezione è piccola – una sessantina di tele in tutto -, ma ricca. Certo che quella Lady Phillips aveva gusto. Il meglio dell’arte europea a cavallo tra ‘800 e ‘900: Turner, Courbet, Monet. Quello splendido Signac.

C’è una natura morta di Derain, Dalie, che per un po’ non riesco a smettere di osservare. È un quadro semplice, di media grandezza. Sul fondo nero, uniforme, spicca un mazzo di dalie rosse e gialle. Mi accosto fingendo di osservarne la fattura; ma la verità è che sono quasi sicura che, se mi avvicino abbastanza, posso riuscire a sentirne il profumo. Fiori dai petali carnosi, resi con tanto, tantissimo colore. Come fosse una scultura invece che un dipinto. Che spettacolo.

Ma le sorprese di questa piccola, deliziosa mostra non sono finite qui. Poco distante incontro il quadro di un pittore che non conosco. Il nome inglese dell’autore, John Singer Sargent, non riesce a nascondere la chiara influenza italiana che emana invece l’opera. Una baita respira l’aria pulita delle Alpi in primavera. Sullo sfondo la montagna – maestosa, imponente, sublime. Il mio primo pensiero è che si tratti di un Segantini camuffato. Tutta quella montagna che incombe. E quei due vecchi al lavoro in primissimo piano che alla prima occhiata nemmeno si vedono. Ma non è un Segantini, e non è la montagna a fare da protagonista. È la baita. Anzi, sono le tegole della baita. Le più belle tegole dipinte che abbia mai visto. Sono talmente vere da poter percepire il suono dell’aria frizzante che per gioco si insinua tra le fessure.

John Singer Sargent, Il ghiacciaio Brenva ,1909

John Singer Sargent, Il ghiacciaio Brenva ,1909

La mostra prosegue: Picasso, Warhol, Bacon. Anche un bel Lichtenstein. Sul finale si incontra persino qualche esempio di arte africana che Lady Phillips ha accuratamente raccolto e esposto (per prima nel XX secolo) come esempio d’arte del territorio, e non senza incontrare lungo il percorso forti opposizioni. Perché a ben vedere il maggior apporto dato dal nome di Lady Phillips è la sua consapevolezza: quella che “un museo non è solo uno spazio nel quale raccogliere opere d’arte ed esporle, è anche un luogo prezioso per la società civile, dove fare e promuovere cultura”.

Ce lo ricorderemo. Grazie Lady Phillips.

Federica Musto

INFORMAZIONI UTILI

Da Monet a Bacon. Capolavori della Johannesburg Art Gallery
Villa Reale di Monza (vai al sito)
Fino al 2 luglio 2017