Recensione di Baby Boss, il nuovo film di animazione diretto da Tom McGrath dal 20 aprile nei cinema.

Il poster italiano del film Baby Boss

Il poster italiano del film Baby Boss 

La vita di Tim, 7 anni, è perfetta: una bella cameretta teatro delle sue avventurose fantasie, due genitori dediti e amorevoli e il monopolio di giochi, vizi e attenzioni.
A infrangere il mosaico di infanzia spensierata è l’arrivo inatteso di un bebè, recapitato sotto casa non dalla cicogna ma da un grosso taxi, un neonato tutt’altro che ordinario: indossa un abito elegante, ha un caratteraccio e soprattutto, ad insaputa dei neo-genitori, parla e trama nell’ombra come un vero cospiratore.

L’unico a scoprire questo segreto è proprio Tim, che a causa del nuovo arrivato perde il primato di figlio prediletto. Tra i fratellini è subito antipatia, odio, guerra, fino a quando un’inattesa scoperta costringerà i due ad allearsi.
Il baby boss si è infiltrato nella famiglia di Tim per una precisa missione e, soprattutto, per un bene superiore: l’esistenza di tutti i futuri bambini del mondo è, infatti, minacciata da qualcosa di più grande, il nuovo rivoluzionario prodotto della temibile azienda PuppyCo.

Un'immagine di Baby Boss - Photo: courtesy of 20th Century Fox

Un’immagine di Baby Boss – Photo: courtesy of 20th Century Fox

Il ritorno animato di Dreamworks è affidato al regista Tom McGrath (Madagascar, Megamind) e a un racconto di complicazioni infantili e di distribuzione degli affetti, che tocca temi disparati e collaudati, dalla convivenza tra “siblings” al potere salvifico dell’immaginazione.
Il pretesto di Baby Boss, buffo ed ingegnoso, è la figura del titolo, uno Stewie Griffin per tutti; un neonato destinato non a una famiglia ma a un’azienda, non a biberon e carillon, ma alla salvaguardia sociale della figura dell’infante e al suo idoneo trattamento.

Schema e guizzi del film puntano dritti ai rivali storici della Pixar, da Toy Story a Inside Out, con citazioni più o meno esplicite e l’obiettivo di dare forma a un’avventura che affascini grandi e piccini. L’esito è incerto, perché Mc Grath trova solo in alcuni passaggi la giusta via di mezzo tra gli inevitabili tòpoi da denti da latte e sfumature di significati più mature.
Un’estetica animata non trascendentale viene compensata da un ritmo da energy drink, impreziosito a sua volta da un paio di sequenze creative, da ricordare, che corrispondono ai viaggi di fantasia “piratesca” di Tim.

E’ proprio la fantasia il nocciolo: l’arma che scardina le porte chiuse davanti a Tim e Baby Boss, la compagna di avventure, la chiave che apre la strada verso il lieto fine a tutto tondo.
Iscrivendosi alla numerosa lista di film d’animazione buoni ma destinati a evaporare nella memoria, Baby Boss non lancia messaggioni o granitici insegnamenti, solo una scorrevole avventura che rincuora i bambini, spiegandogli che al mondo c’è amore sufficiente per tutti, e gli adulti, evitandogli la solita scolastica sequela di canzoni, animali parlanti e principesse.

Voto: 6/10

Luca Zanovello