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di Federica Musto

 

Mattinata uggiosa di un giorno di festa. Luce bianca, freddo, nebbia soffusa. Brianza, torpore. Una villa del settecento lombardo, sale non tanto grandi, odore di storia. Sono a Villa Sottocasa a Vimercate per vedere Guttuso. Sorrido, non so bene perché ma l’idea di vedere un così grande pittore siciliano con i suoi colori caldi, il suo vigore, la sua esuberanza tipica di un carattere del sud proprio qui nel cuore della Brianza, mi sa un po’ di contraddizione. Pregiudizio, ovviamente. Anche perché so che Guttuso ha vissuto, studiato, dipinto moltissimo a Milano.

Comunque. Entro nel MUST, la mostra è disposta su due spazi distinti per tecnica: oli al piano terra, chine e stampe a quello superiore. Nella prima sala incontro Monica che mi introduce un po’ alla visita. La ascolto scorrendo le opere. Mi piace quando c’è qualcuno che mi fa da cicerone perché accompagno la visita a una storia. Non tanto per i fatti, è il punto di vista di chi parla che mi interessa, e gli aneddoti. Adoro gli aneddoti.

Ritratto di Alberto Moravia 1940

Ritratto di Alberto Moravia 1940

Così scopro che Guttuso, pittore siciliano, comunista, cubista italiano vede il primo vero dipinto di Picasso solo negli anni ’50. In compenso è sempre andato in giro con una stampa di Guernica nel portafogli. Contraddizione numero due. Ma non finisce qui. Perché osservando le opere – per lo più ritratti – si fa sempre più spessa la sensazione che quelli ritratti, più che uomini del popolo, più che proletari, sono esponenti di una élite: un’aristocrazia nel senso etimologico, nobile del termine. Una selezione di pochi, dei “migliori”. Ma non per nascita, o per censo. Migliori intellettualmente: pensatori, artisti, filosofi. Lo capisco dalle mani, le mani grandi di Moravia[1] in primo piano, chiuse, in posa, appoggiate sul grembo. E dallo sguardo. Lo sguardo di Corrado Cagli[2]: concentrato, distante, fisso su qualche cosa di più grande, un ideale, un alto obiettivo. Lo capisco dal sorriso. Il sorriso di Romolo Valli[3], così intrigante, così ammiccante, ma velato da un’ironia consapevole. È un’arte di un intellettuale per degli intellettuali quella che ho di fronte. Scelta curiosa per un comunista convinto come era Guttuso, un sostenitore dell’uguaglianza proletaria. Ennesima contraddizione, e siamo a tre.

Ecco un’altra cosa che mi piace quando vado a vedere una mostra, oltre alla storia, oltre agli aneddoti: le contraddizioni. Voglio dire, è giusto che una mostra “fili”, abbia una traccia rossa che crei un percorso tra le opere, che ne evidenzi le similitudini. Ma troppo spesso andiamo a vedere un’esposizione esageratamente istruiti. Conosciamo le opere presenti, conosciamo l’autore, conosciamo la volontà del curatore ancor prima di arrivare sul posto. Andiamo in un museo e non apprendiamo ma riconosciamo ciò che ci sta davanti agli occhi. E non ci stupiamo più: vogliamo solo ritrovare ciò che ci aspettiamo di vedere. E questo è un po’ triste. Perché abbiamo perso la nostra capacità di stupirci, di emozionarci, di imparare qualche cosa di nuovo.

È per questo che amo le contraddizioni: ci costringono a pensare, a rimetterci in gioco. Infrangono le nostre aspettative, ci spiazzano. Ci svegliano.

Mattinata uggiosa di un giorno di festa. Luce bianca, freddo, nebbia soffusa. Brianza. Ma niente più torpore.

Ritratto di Corrado Cagli 1956

Ritratto di Corrado Cagli 1956

 

INFORMAZIONI

Renato Guttuso, Ritratti.
Fino al 21 febbraio
MUST, Vimercate (MB)
www.museomust.it

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[1] Guttuso, Ritratto di Alberto Moravia, 1940.
[2] Guttuso, Ritratto di Corrado Cagli, 1956.
[3] Guttuso, Ritratto di Romolo Valli, anni sessanta.