1846: John Banvard è probabilmente il pittore più famoso dei suoi anni; la sua fama di estende dagli Stati Uniti (250.000 spettatori nella sola Boston) fino all’Europa (600.000 visitatori a Londra ed evento privato per la regina Vittoria).
1891: John Banvard muore nell’indifferenza generale e povero in canna.
2012: anche il più attento esperto d’arte fatica a ricordare il nome di John Banvard.
Già, ma cosa è successo?
John nasce a New York nel 1815 e rivela da subito un precoce talento per la pittura, che decide di mettere a frutto durante un viaggio sul fiume Mississippi nel 1840. L’idea è semplice e non del tutto originale, ma funzionerà: Banvard comincia a tracciare una serie di schizzi già nel corso della navigazione, con l’intenzione di dare vita ad un enorme pittura panoramica. Al termine dei lavori, il Nostro avrà realizzato un’opera di quasi 400 metri di lunghezza (!!!) e di tre metri e mezzo di altezza: inserita e “arrotolata” in un sistema di carrucole e cilindri che ne consentiranno lo scorrimento, sarà il modo che consentirà a Banvard di intrattenere gli spettatori con una pittura in movimento, accompagnata da racconti e musiche, in una forma artistica a metà fra la performance, la pittura tradizionale e il teatro.
Il successo è quasi immediato: l’artista newyorchese conquista le prime pagine dei giornali ed eccita la fantasia degli spettatori in un primo tour che tocca diverse città degli States. A Boston più di 250.000 persone accettano di versare cinquanta centesimi per il biglietto di ingresso, il che rende immediatamente Banvard decisamente benestante ma non sufficientemente pago. Seguirà infatti una trasferta europea che avrà il suo culmine in uno spettacolo privato per la Regina Vittoria, evento immortalato in un disegno oggi conservato presso la Minnesota Historical Society, unica realtà ancora impegnata a conservare il suo ricordo.
Di ritorno dalle trionfali tappe europee, infatti, John Banvard decise di investire tutte le sue fortune in una sorta di gigantesca casa museo dell’estensione di circa 240.000 metri quadri: una fantasia di esposizioni temporanee e pezzi unici (fra cui spiccava il cosiddetto Gigante di Cardiff, una delle bufale scientifico-archeologiche più tristi di tutti i tempi) per le quali si intendeva far pagare un biglietto.
La residenza – ufficialmente battezzata Grenada ma rapidamente definita dai concittadini “La follia di Banvard” – non ottenne una gran fortuna, se è vero che dopo sole dieci settimane fu costretta a chiuedere i battenti: patì, con ogni probabilità, la concorrenza della più efficace comunicazione del “Circo Barnum”, certamente meno intrigante artisticamente ma immensamente più capace di eccitare la fantasia delle folle.
Nel giro di una decina di anni Banvard venne completamente dimenticato, e la semplicissima epigrafe che ancora oggi marchia il suo sepolcro (“John Banvard, nato il 15 novembre 1815, morto il 16 maggio 1891”) testimonia l’incredibile parabola discendente di un uomo che fu, per alcuni anni, il più apprezzato e noto artista della sua epoca. A completare la fosca rappresentazione, va segnalato che ben poco rimane dei suoi panorami mobili: gran parte di essi furono riutilizzati come fondali teatrali, di alcuni si ha la certezza di un impiego come semplice tappezzeria.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.