Come si fa a raccontare dei contenuti di una mostra quando è la cornice stessa dell’esposizione a lasciare a bocca aperta?

Dopo anni di proposte, disegni, piani di riqualifica, polemiche e cancelli chiusi, a Trieste è stato finalmente riaperto – anche se parzialmente – il Porto Vecchio. E’ un primo passo che alcuni fortunati attendevano da molto tempo: chi avesse avuto infatti in passato la possibilità di visitare questa area normalmente off limits non riusciva a comprendere come un tale patrimonio architettonico potesse essere lasciato all’abbandono ed all’incuria. Ci sono città che si sono inventate nuovi spazi per il commercio ed esposizioni artistiche, altre che hanno provato a sfruttare al massimo eredità passate: a Trieste, in un immobilismo che fa piangere il cuore di chi ci è nato, è stata per anni lasciata sfiorire una parte rilevante del patrimonio storico della città di dimensioni assolutamente impressionanti.

porto vecchio trieste

Evidenziata in giallo, l'area del Porto Vecchio di Trieste

Ci si riprova: con l’inaugurazione del Magazzino 26, sede della Biennale Diffusa 2011, Trieste può riscoprire un porto costruito fra il 1861 ed il 1898 con materiali e architetture di pura avanguardia, e rimasto sostanzialmente invariato: lo provano strutture antiche, i moli, la Centrale Idrodinamica (esemplare unico al mondo, finalmente in corso di restaurazione) e, più in generale, quella sensazione di salto nel tempo che l’occasione regala. Una passeggiata da brividi che culmina con la visita al Magazzino 26, sede di una esposizione che si sviluppa su tre piani e che regala agli avventori diverse occasioni di riflessione: dalla Mostra Internazionale di Arte Contemporanea InCE-CEI (in cui segnalo le immagini di Karin Pisarikova ironicamente dedicate alla differenza fra finzione e realtà e le descrizioni delle performance di Veronika Tzenova, in bilico fra recupero della tradizione e ammodernamento di spazi pubblici) alla mostra fotografica ospitata al secondo piano, per continuare a salire fino agli spazi riservati agli artisti del Friuli Venezia Giulia. Il tutto, va ricordato, in spazi ottimamente allestiti, con soluzioni originali nell’esposizione fotografica e luminosità che consentono l’ottima fruizione degli scatti presentati.

 

 

Non nascondiamolo: quando lo sguardo termina l’analisi e l’osservazione delle opere e si dirige, pigramente verso le finestre la visione dell’Adriatico illumina il cuore e torna a farsi strada prepotentemente una speranza che diviene rapidamente esigenza: che quest’area non sia mai più abbandonata, e che prosegua senza indugi e con meno polemiche possibile una costante opera di valorizzazione.