È un bel po’ che le mostre a Palazzo Reale non vengono prorogate e soprattutto che le file interminabili dei primi mesi si risolvono in una manciata di persone all’ultima settimana. Vogliamo credere che tutto ciò sia dovuto alla lungimiranza degli organizzatori? Sarà pure vero, però lasciatemi dubitare. Perché? Ecco il mio giro.

Ogni qualvolta salga la sontuosa scala dell’ingresso un fremito mi assale: il prezzo del biglietto mette irrimediabilmente a rischio le mie coronarie soprattutto perché spesso l’esposizione non è per nulla all’altezza delle aspettative. Quindi, complici un duplice passaggio al centro yoga – per evitare che il mio guardaroba si arricchisse di una camicia di forza – e la prospettiva che la sopravvivenza avrebbe comportato il godimento di una bistecca grondante sangue in compagnia dei co-blogger, ho iniziato il percorso che si prospettava di ben u n d i c i stanze.

Un bel respiro e… dietro una spessa tenda di velluto mi ha accolta una bella installazione, narrazione noiosa di come fosse nata la mostra e che riservava parecchie righe ad ingraziarsi/ringraziare gli sponsor. Per conoscere vita, morte e miracoli dell’artista (credo) e qualche altra pippa sul fatto che fosse milanese ho dovuto completare la circumnavigazione della parete. Solo sul retro ho trovato soddisfazione: un testo davvero ricco, troppo (!), così nutrito da farmi desistere in quanto sprovvista di un evidenziatore… i ricordi delle scuole son riaffiorati e … tra uno sbadiglio e l’altro ho proseguito fiduciosa.

Entrando in sala 2, poi nella 3 , nella 4 , nella 5 e nella 6° (???) la pelle d’oca si è fatta sempre più fastidiosa, il sistema nervoso ha mostrato i primi segni di cedimento, la temperatura decisamente artica non ha aiutato, ma stoicamente ho indossato il maglione, in extremis un bavaglio ed ho saltato questi ambienti dedicati ad altri noti maestri che fossero stati di ispirazione all’artista milanese oppure che avessero trovato in lui fonte di illuminazione.

Fortunatamente la sala ovale avrebbe infuso pace e speranza anche al peggiore degli irrequieti scalmanati. Infine uno scritto, breve ma utile, introduceva le “Stagioni”, le cui versioni parigine, viennesi e madrilene potevamo ammirare per la prima volta affiancate. Che meraviglia: dieci tele in un così piccolo spazio, una istigazione al girotondo sino a “giù per terra”! Estasiata ho voltato l’angolo dove gli “Elementi” mi attendevano valorizzati, per una volta, da adeguata illuminazione soffusa. Un inno alla gioia! Con la speranza nel cuore, quasi correndo, ho varcato la nona soglia, confidando in una indiscussa indigestione, ma… dopo l’accoglienza dei poco sorridenti “bibliotecario” e “giurista”, è ri-iniziato a mancare qualcosa, anzi tutto!

Ho dovuto attendere sino all’ultima stanza per scorgere le due note teste reversibili, divise per l’occasione dal meraviglioso dodecaedro. La metà delle persone però proseguiva indifferente perché le tele erano in un angolo, quasi nascoste, e perché i visitatori a questo punto erano irrimediabilmente annoiati, disillusi, stanchi e/o inalberati: 9 euro per vedere 20 tele! Eh già tutto qui. Tempo totale di permanenza: 1 ora scarsa (doppio giro incluso), sob.

Un percorso ben segnato, una illuminazione non fastidiosa e guardie in ogni stanza in sovrannumero, non sono state sufficienti a dare il giusto valore ad un artista così geniale che ha precorso i tempi e che è riuscito a dar sfogo ad estro creativo, ironia e sarcasmo nel lontano 1500 con una lucidità che a molti manca ai giorni nostri. Un vero peccato giustificare il biglietto riempiendo le sale con una accozzaglia di opere di altri autori che, così facendo, son state svalorizzate (si perdevano nel mucchio) per non affrontare la dura verità: c’erano pochi dipinti, che però erano l’unico motivo della visita : - (