Quello che segue è un post corale, che nasce dallo stravolgimento di uno scritto (A. non me ne volere), in seguito una serata c.d. Blockbuster tra amici, molti dei quali blogger. L’introduzione è affidata all’ospite (che noi tutti speriamo diventi fissa), la Scienziata, che con disarmante precisione in poche semplici parole è riuscita a comunicare quanto molti stavano pensando.

 

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Personalmente credo che si possa vedere un film anche per il semplice gusto di evadere dalla routine di tutti i giorni. Non impazzisco per pellicole come questa: non capisco infatti il  bisogno di offrire allo  spettatore spunti di violenza gratuita che possono essere concretizzati  da menti folli.
La sola  apparente semplicità di questa opera tuttavia permette anche a noi profani non solo di cogliere tutte le sue sfaccettature, ma pure di apprezzarla come espressione dell’arte cinematografica. Sotto questo punto di vista non si può non riconoscere al regista di aver vinto la sua scommessa.

 

Ma di cosa si tratta esattamente? Di una idea strampalata, consolidata in letteratura grazie alla tafofobia di Edgar Allan Poe e su video già testata, che qui viene portata agli estremi al punto da ritenere la messa in pratica una vera follia. Decisamente un one man show, affidato a Ryan Raynolds, in una insolita location: una bara. Infatti la trama (ed è l’unica informazione che otterrete da questo scritto) ruota tutta intorno ai 90 minuti che seguono il risveglio del protagonista, l’autotrasportatore Paul Conroy, all’interno di una cassa in legno.Opera seconda di Rodrigo Cortès, un regista iberico (d’altra parte solo un esordiente poteva “rischiare la carriera” realizzando un progetto simile) che grazie alla fiducia di una major ed il supporto di un giovane attore, ma pur sempre star Hollywoodiana, riesce a realizzare un Signor lungometraggio in soli 17 giorni (se ci pensate è tempistica da record), perché una lavorazione più lunga avrebbe potuto pregiudicare la stabilità mentale del protagonista (parole del regista!) date le 6 casse che hanno dominato il set. Ma non temete, la sovrabbondanza di “cofani” era dovuta solo ad esigenze sceniche che ben si comprendono nella risposta che ci offre A. al quesito che probabilmente sta passandovi per la testa: “come può una storia simile tenere viva l’attenzione dello spettatore per tutta la durata della pellicola?”

 

(A.) Ci riesce, eccome! Un film che, con stile Hitchcockiano, ci propone un susseguirsi di vicende (talvolta un vero tour de force) che ci tengono col fiato sospeso sino ad ammutolirci completamente. Incredibile come regia e location siano in continuo movimento nonostante nei fatti si sia rinchiusi in quasi totale e decisamente opprimente immobilità. In questa situazione vengono affrontati temi politici, sociologici ed umani con molta naturalezza. Conosceremo il personaggio nelle sue molteplici sfaccettature, condivideremo i suoi umori, le sue debolezze ed i punti di forza. Attraverso i suoi occhi ed i suoi limitati movimenti proveremo calma, angoscia, rabbia, disperazione ed ira.  Vi è decisamente più regia qui che in molte altre opere, perché essa è funzionale alla vicenda, cambia con il modificarsi degli stati d’animo (frenetica nei momenti più attivi, discreta in quelli più intimi e timorosa o quasi voyeuristica quando il gioco si fa duro) ed è supportata dalle scelte cromatiche, che assumono ruolo davvero essenziale. Infatti i diversi colori che accompagnano le scene sono semplicemente il raffigurarsi dei vari stati d’animo che affrontiamo insieme al protagonista (solo per citare un esempio, la luce fioca dello zippo trasmette la giusta curiosità iniziale nel scrutare l’ambiente).

 

Nonostante quanto si possa leggere in giro, non assisterete quindi ad un horror, non vi è alcuna tortura truculenta, bensì solo ad un thriller dall’alta tensione in continuo claustrofobico crescendo. Motivo per cui direi che sono sconsigliati i piccoli schermi casalinghi, i vari “salva-la-vista” e/o lampade che fanno tanto “ambiente”. Garantisco che la loro presenza a me hanno rovinato la visione. E oggi, rileggendo le appassionate righe che sto ricevendo da tutti, mi rendo conto di quanto sia stato un peccato, perchè il film decisamente funziona: gurdate quanto è lungo questo post!

 

 

 

N.D.E. Da infante e territorio vergine della cinematografia, non me la sento di aggiungere altro alle note esaurienti che avete già letto, se non che con “Buried” ho provato una sensazione di totale immedesimazione, che mi ha dato molto. Scivolo invece su terreni a me più noti per raccontare che più che all’inevitabile “Una sepoltura prematura”, il pensiero è corso ad un altro racconto di Edgar Allan Poe, “Il pozzo e il pendolo”: certamente meno fedele per quanto riguarda la trama, ma ugualmente insuperabile nel generare lo stesso senso di oppressione, tensione d’attesa e angoscia.