Carissimo Nicola (o come dicevamo tutti Nicouula, per il tuo accento pugliese), mi rendo conto che sono un paio di lustri che non ci sentiamo, ma ho bisogno di una mano e di chiederti scusa. Ricordi quanto ti abbiamo preso in giro, fra un tiro a canestro e l’altro, per la tua passione per la lirica e per il walkman su cui ascoltavi arie verdiane mentre noi ci spaccavamo i timpani (spesso) o i neuroni (più di frequente) a suon di rock’n’roll (settimanalmente) e cantautori italici (quasi tutti i giorni)? Ecco, dunque, vorrei sapere: dovendo ascoltare una specifica opera di Verdi, e nel dettaglio…

Fermo. Non lo voglio sapere. Lo so, è un trucco dei tuoi: mi farai parlare per ore e ore di un qualche brano, e da domani mi ritrovo con i colleghi che mi chiamano Sigfrido.

No, guarda, Nicola (o come ti chiamavamo tutti, Nicouula), le cose cambiano, si scoprono nuove passioni, il fascino di un episodio storico ti si schiude all’improvviso, e…

Significa che non ascolti più né Guccini né De Andrè?

No, aspetta, ho detto che le cose cambiano, non che si stravolgono. Significa che, ecco, sarei interessato ad ascoltare una buona esecuzione de “I due Foscari” di Verdi, e mi domandavo se potessi darmi qualche indicazione…

Un consiglio posso dartelo, a patto che tu mi dica il perché di questa scelta un po’ di nicchia all’interno dell sterminata e popolarissima produzione verdiana.

Un intenso ritratto del Doge Francesco Fornari

Affare fatto. Comincio a dirti quel che so: ambientazione veneziana, anno 1450 o giù di lì. Protagonisti principali sono il Doge Francesco Fornari e suo figlio Jacopo, che per una serie di eventi sfortunati era stato costretto all’esilio ma è stato ribeccato in città. Come vado?

Benino. In realtà lo accusarono dell’uccisione di un uomo, ma soprassediamo. Sai come prosegue?

Oh, si, si. I Dieci – una sorta di Consiglio dei Ministri senza Letta e Alfano – lo condannano sulla base di prove assolutamente indiziarie, e il Doge si trova costretto a far applicare la legge contro suo figlio. Una sorta di “senso di Stato” che prevale sull’amore filiale. Il Doge non si oppone, Jacopo va in esilio a Creta e ci muore un annetto dopo. Passano altri dodici mesi e un reo confesso ammette il crimine per cui era stato condannato Jacopo, che probabilmente mostra il dito medio dalla tomba.

Si, direi che ci siamo. Tieni presente una cosa: il libretto d’opera contiene una serie di frasi di assoluta bellezza, andando a sfiorare una infinita gamma di emozioni. Senti il Doge abbandonatosi sul trono piangere la sua situazione:

O vecchio cor, che batti

come a’ prim’anni in seno,

fossi tu freddo almeno

come l’avel t’avrà;

ma cor di padre sei,

vedi languire un figlio;

piangi pur tu, se il ciglio

più lagrime non ha.

O ancora, ascolta un po’ Jacopo dopo aver saputo che la sua non è una condanna a morte, ma all’esilio:

Oh ben dicesti!… All’esule

più crudo ancor di morte

da’ suoi lontano è il vivere!…

E infine, appreso che vivrà l’esilio da solo, e che l’amata moglie non potrà andar con lui:

Donna infelice, sol per me infelice,

vedova moglie a non estinto sposo,

addio… fra poco un mare

tra noi s’agiterà… per sempre!… Almeno

tutte schiudesse ad ingoiarmi… tutte

le sirti del suo seno.

Mi hai definitivamente convinto. Quale esecuzione vado a cercarmi, allora?

Cerca quella con Carreras e la Ricciarelli. La trovi su Amazon (qui) oppure su Itunes (qui). Il testo lo puoi invece scaricare cliccando qui, (PDF, 527 kb) grazie all’encomiabile e splendido lavoro di Librettidopera.it.

E ora dimmi un po’ perché questo interesse.

Ah, carissimo il mio Nicola (o come ti chiamavano persino i tuoi, Nicouula): questa è’ un’altra storia. Prometto, te la racconterò fra qualche giorno…