In seguito alla notizia del presunto ritrovamento dei resti del velivolo di Amelia Earhart, riceviamo e pubblichiamo questo profilo della celebre aviatrice scritto da Carlo d’Agostino, giornalista aeronautico, autore di libri di storia dell’aviazione e attualmente addetto stampa dell’Associazione 4° Stormo.

Amelia all'esordio della sua carriera aeronautica

Nata nel 1898, Amelia aveva 5 anni quando i fratelli Wright sollevarono dal suolo il “più pesante dell’aria” nella pianura di Kitty Willa in Carolina. Indubbiamente negli anni a seguire il fermento che questo nuovo mezzo di trasporto suscitò negli Stati Uniti e nel resto del mondo segnò la sua crescita e la portò a considerare l’aviazione come una attività non esclusivamente riservata agli uomini.

I primi onori della cronaca, “immeritati” affermerà lei stessa al termine dell’impresa, li ottenne il 17 giugno 1928 partecipando come passeggera alla trasvolata della costa dell’Atlantico da Terranova a Swansea a bordo di un idrovolante trimotore Fokker F VII pilotato da Wilmer Stulzt.

Nel maggio 1932 è ormai pronta ad una grande impresa, la prima trasvolata atlantica compiuta in solitario da una donna (Charles Lindberg l’aveva già effettuata nel luglio 1927 sulla tratta New York – Parigi). Con il suo monomotore Vega decollò da Terranova per atterrare in un prato nella contea di Londonterry in Irlanda dopo quindici ore e qualche minuto di volo. Con lo stesso velivolo fu la prima donna a volare coast to coast negli USA e da quel momento si dedicherà in modo particolare alle trasvolate in completa solitudine: nel gennaio 1935 dalle Haway alla California e, successivamente, in volo da Los Angeles a Città del Messico. Per gli americani Amelia è ormai “Lady Lindy”, versione femminile di Lindberg, e nel 1936 riceve l’ambito ed importante Trofeo Harmon della Lega internazionale degli aviatori.

Ad Amelia vennero dedicate canzoni e temi musicali

Nello stesso anno, comincia a prendere forma il più ambizioso progetto di Amelia: la circumnavigazione del mondo lungo la sua massima ampiezza, cioè l’equatore. Si necessitava quindi di un velivolo altamente affidabile e la scelta cadde sull'”Electra”, bimotore costruito dalla Lockheed e dotato dei migliori strumenti per la navigazione dell’epoca.

Il 5 giugno 1937, dopo due tentativi di decollo non riusciti, Amelia Earhart con il navigatore – decisamente “imposto” dal governo americano, l’ufficiale di marina Fred Nooman – decollava da Miami per raggiungere Portorico e proseguire poi nei giorni successivi toccando Suriname, Brasile, Dakar (dopo aver attraversato l’Atlantico) e via via Khartoum, Calcutta, Singapore, Port Darwin in Australia per giungere in nuova Guinea dopo 30 giorni di volo e 35.000 km percorsi.

L'Electra di Amelia Earhart in volo sull'isola di Java, 1937

La tappa successiva doveva essere l’isola di Howland nel Pacifico: un volo di oltre 4.000 km affrontato con carburante sufficiente per 6.400 km e malgrado Nooman segnalasse qualche problema alla radio di bordo. Amelia decise di partire ugualmente e decollò il 2 luglio per scomparire nel nulla, dopo un unico contatto radio con una nave della Marina statunitense in cui comunicava di essere a 320 miglia (circa 600 km) dall’isola.

Il Governo degli Stati Uniti fece svolgere inutilmente intense ricerche nell’area e, negli anni successivi, sorsero naturalmente svariate “leggende” sulla scomparsa di Amelia e Noonam: tra le più curiose, quella di un atterraggio d’emergenza in territorio giapponese dell’aereo con conseguente esecuzione delle due “spie” americane e quella di un rientro in patria sotto falso nome alla ricerca di una nuova esistenza in tranquillità e lontana dai riflettori.

Anche i ritrovamenti di resti scheletrici e di parti del velivolo si sono succedute negli anni, senza mai approdare ad una soluzione definitiva. E’ inevitabile quindi che ogni annuncio in tal senso venga considerato con un certo sospetto, e che sia giusto attendere prima di annunciare la conclusione del “caso aeronautico” per eccellenza nella storia dell’aviazione.