A giudicare dalla classifica dei libri più venduti aggiornata da Amazon.it sul suo sito web, la messa in onda della seconda serie di episodi televisivi, a partire dal prossimo mese di maggio, ha fatto un gran bene ai romanzi della saga de “Il Trono di Spade” concepiti da George R. R. Martin: cinque dei volumi che la compongono compaiono infatti nella Top 20 della più nota ed utilizzata libreria online.

Un virtuoso effetto di trascinamento che aveva colpito pesantemente anche il sottoscritto, omaggiato sotto il pino natalizio del primo volume intitolato appunto “Il Trono di Spade” dalla film-recensora e costretto a scaraventarsi in libreria nonostante la temperatura glaciale (non che in questi giorni vada meglio…) per poter appoggiare le ditina sul suo proseguimento, “Il Grande Inverno”. Va ricordato che i due volumi sono stati editi separatamente soltanto in Italia, e che il romanzo unico originale copre esattamente l’arco narrativo e temporale raccontato in immagini nella prima serie TV.

Ma come può un lettore piuttosto freddo nei confronti del fantasy, capace oltretutto di far ciondolare il capo insonnolito durante la sesta puntata della trasposizione televisiva, appassionarsi alle avventure delle famiglie Stark e Lannister?

Una risposta unica, ahimè, non ce l’ho. Ma so per certo che alcuni elementi hanno concorso ad una partecipazione emotiva verso quanto raccontato da Martin, ed il primo è proprio legato alla mancanza di una forte componente magica nello sviluppo del plot. Nel (poco) fantasy che mi è transitato sotto gli occhiali, ho sempre faticato ad abituarmi a fate, folletti e a quella vaga impressione che quando la storia giunge ad un punto morto da cui è difficile uscire… puff… l’autore ci sbatte due o tre simil-incantesimi e se la cava per la via più breve. Ne “Il Trono di Spade” e – forse più marcatamente – ne “Il Grande Inverno” questo espediente narrativo è del tutto assente o ridotto all’osso, lasciando spazio ad una ambientazione certamente di fantasia ma che finisce inevitabilmente per ricordare l’Europa medievale.

“Il Trono di Spade” finisce così per assumere le sembianze di un romanzo storico: i regni sono retti da casate nobiliari con motti e stemmi che garriscono al vento durante le battaglie, le corti si popolano di sussurri e congiure, i figli si contendono le reggenze alla morte del sovrano e il popolo allieta la propria stentata sopravvivenza con bardi che raccontano di mirabolanti eventi passati.

Una sola, piccola lamentela: il fatto di aver seguito la prima serie TV mi ha senza dubbio aiutato nel districarmi fra i numerosissimi personaggi che prendono parte allo sviluppo della trama. Fossi stato un lettore assolutamente neofita, avrei apprezzato un aiuto genealogico all’inizio del volume, e non posizionato in appendice. Avendo la pessima abitudine – tutta personale, me ne rendo conto – di iniziare i libri da pagina 1, non me ne sarei accorto dopo aver vergato faticosi appunti sulla Moleskine, corredati di freccette ad incrocio e rimandi colorati…

Ed in attesa delle vivide immagini trasmesse sui nostri televisori, ci dedicheremo a breve alla recensione del terzo volume della saga, dal promettente titolo “Il regno dei lupi”.