Uhm. E’ giunto il momento, si. Devo scrivere la recensione dell’ultimo romanzo di Zafon. Ok, niente paura, basta mettersi davanti alla tastiera e raccontare tutto. Già, ma da quale punto di vista?

Se fossi un politico navigato (e grazie al cielo non lo sono) cercherei con ogni probabilità di accontentare entrambi gli schieramenti che inevitabilmente si staranno consolidando nei giudizi su questo romanzo. Direi che da una parte è una fortuna che venga finalmente pubblicato una opera nuova di questo autore in sostituzione delle ri-edizioni di opere giovanili al limite della leggibilità. Dovrei però sottolineare anche che la terza avventura della tetralogia (siamo dunque in attesa di quarto e definitivo volume…)  iniziata con il fortunatissimo “L’ombra del vento” mostra i segni di cedimento già in parte evidenziata con “Il gioco dell’angelo”: Zafon si fa – e si farà ancora – sicuramente leggere, ma il primo romanzo valeva interamente il prezzo di copertina, il secondo raggiungeva a stento la sufficienza ed il terzo prosegue nella china tendenzialmente discendente.

Se fossi un libraio (e magari in un lontano futuro chissà…) sarei di certo soddisfatto: è sufficiente il nome in copertina e la ripresa di personaggi e trama per assicurare un successo di vendite. Probabilmente lancerei anche una benedizione diretta all’editore: font, interlinea e marginatura hanno garantito la trasformazione di un nativo libello da 150 pagine in un bel tomo rilegato che si può agevolmente spacciare a un prezzo con cui – qualche anno fa – si poteva acquistare una storia della fotografia riccamente illustrata.

Se fossi un fedele lettore zafoniano (e non ci sarebbe niente di male), sarei probabilmente soddisfatto dalla scorrevolezza dell’avventura, intrigato dal nuovo punto di vista affidato a Fermin (personaggio memorabile ne “L’ombra del vento”) ma un po’ intristito da alcune mancanze: prima fra tutte, una Barcellona che – protagonista assoluta nel primo volume della saga – perde quella atmosfera misteriosa ed avvolgente che catturava inesorabilmente, ammantandosi di una sorta di “quasi esoterismo” mai sfacciato o disturbante.

Se fossi Carlos Ruiz Zafon (e mannaggia a me non lo sono) avrei un timore tremendo: saprei di essermi assicurato un ulteriore contratto milionario grazie ad una narrazione che lascia assolutamente aperta la strada per un episodio finale, ma avvertirei probabilmente la necessità di cominciare qualcosa di nuovo. Lettori e critica aspettano al varco, lo si sa bene, e abbandonare una serie di successo e personaggi che sono diventati compagni di strada non è mai facile. Ma, accidentaccio, avrei una gran voglia di dimostrare che è giunto il momento di dimostrare come il talento di uno Scrittore risieda nella capacità di cambiare registri e tematiche, se non ci si vuole accontentare di rimanere nella memoria come autore di sicuri bestsellers e non di romanzi destinati a raccontare la mia storia a chi ci seguirà.