Sto cercando da un paio di giorni di trovare un’espressione meno decisa, vergando pagine di appunti e sfogliando dizionari di sinonimi e contrari. A un certo punto però bisogna arrendersi e comunicarlo: se “Piccoli suicidi tra amici” mi era piaciuto molto e “Il miglior amico dell’orso” mi aveva divertito altrettanto, beh, “Le dieci donne del cavaliere” mi ha profondamente annoiato.

Un pochino dovevo aspettarmelo: avevo infilato una bella serie di romanzi convincenti, ed era nell’ordine naturale delle cose che una svolta negativa fosse proprio lì dietro l’angolo. Il punto è che è stata una sorpresa, un po’ come quando accarezzi il cocker del vicino, una sorta di peluche che si farebbe anche strappare le orecchie da un bambino, e questo all’improvviso si mette ad abbaiare con la bava alla bocca e gli occhi di una belva che vuole assaggiare il tuo naso (pasto sufficiente ad una nidiata di cuccioli, nel mio caso). Ecco, la stessa sensazione di ghiaccio nelle vene e brividi lungo il collo, solo distribuiti su 256 pagine francamente deludenti.

Sebbene il titolo lasci presagire a noi prevenuti lettori italici un aggancio neppure troppo ipotetico alle avventure di un Cavaliere piuttosto noto alle nostre latitudini, lo sviluppo della trama è di piena ambientazione nordica: la festa di compleanno di Rauno Ramekorpi, industriale appena insignito di onorificenza per la sua attività lavorativa, è l’occasione per una vera invasione di fiori e regali nella villa che ospita il ricevimento. Vettovagli e doni floreali che sarebbero destinati alla discarica, se lo stesso Rauno – coadiuvato da un tassista – non decidesse di utilizzarli per omaggiare una decina di sue conoscenti, naturalmente donne.

Dall’appuntamento con una P.R. in carriera alla visita ad una ex collega alcolizzata, da un passaggio nel talamo della sindacalista pura e dura ad un convegno amoroso con una dipendente in cerca di fertili servizi, assistiamo così ad una sfilata di personaggi francamente poco dettagliati che si confondono l’un l’altro e a dieci incontri per i quali la definizione di “ripetitivi” è fin troppo generosa. Lo schema seduttivo – se di questo si può parlare – è sempre il medesimo, e sfugge francamente dove si sia nascosta quella curiosa e atipica ironia che ha contraddistinto le precedenti uscite letterarie di Paasilinna. L’unico brandello di interesse si mantiene vivo nutrendosi della curiosità di provare a capire dove andrà a parare questa storia apparentemente banale, confidando fino all’ultimo in un colpo di scena finale. Mettetevi il cuore in pace fin dall’introduzione, perchè non arriverà.

Lo capisco, Carnevale è una festa che piace un po’ a tutti e, tra quello che si maschera da lottatore di sumo ed un altro che si infila il vestito da koala, potevo aspettarmi un autore travestito da Paasilinna. Vedrò di leggermi il prossimo in piena estate.