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VIDEOGIOCO
di Marco Bertoli
Seduto sul bordo del letto nella sua cameretta, Alessandro fissava la consolle. La scatola nera dagli angoli arrotondati pareva sfidarlo.
Cinque anni, una vita già carica di delusioni e certezze infrante.
Quell’uomo alto, biondo, che lo portava in giro a cavalcioni sulle spalle cantando a squarciagola, promettendogli che non l’avrebbe mai lasciato solo, era sparito una calda sera di giugno. «Ci ha mollati per andarsene con quella puttana! Una che potrebbe essere sua figlia!» aveva singhiozzato la madre, abbracciandolo tra le lacrime. Che poi lui non sapeva cosa fosse una puttana, ma l’aveva associata all’arcigna custode dell’asilo, quella che sberciava sempre se uno si azzardava a entrare con le scarpe sporche di fango.
Poi era stata la volta di Babbo Natale a essere distrutto. Con perfido cinismo sua sorella maggiore, mentre si stava pitturando la faccia, gli aveva svelato che era la mamma a mettere i regali sotto l’albero. Il dolore della rivelazione lo tormentava ancora.
Quindi Luca e Sofia lo avevano tradito. L’amico che aveva spergiurato di giocare sempre con lui e la bambina adorabile che si era impegnata a sposarlo da grande, avevano fatto comunella. Mano nella mano, senza una parola, lo avevano abbandonato in mezzo al cortile.
Ad Alessandro era rimasta un’unica certezza e consolazione: il videogioco in cui impersonava l’eroe che avrebbe salvato il regno. In compagnia di barbari, nani ed elfi viaggiava per terre fantastiche, esplorava caverne e sotterranei colmi di tesori, combatteva orde di mostri orribili, decapitandoli con la sua fedele spada. Un mondo così bello, emozioni tanto intense che non potevano essere frutto della fantasia. Quando stringeva il controller tra le dita, si sentiva trasportato in un altro spazio, reale quanto quello in cui viveva.
Cesare, suo fratello, un giorno in cui era particolarmente arrabbiato con l’umanità, gli aveva schiaffato in viso che era tutto finto, il risultato del lavoro di programmatori. Quei personaggi che lui amava, altro non erano che puntini colorati sullo schermo.
Alessandro si decise. Alzatosi, si diresse verso la consolle e cominciò ad armeggiare per aprirla. Gli occorsero venti minuti per avere ragione delle linguette di plastica che la sigillavano. L’ultimo sommesso clic risuonò forte come un tuono.
Il cuore che gli tremava nel petto, sollevò il coperchio. Piano. Con la paura di scoprire che il fratello avesse detto la verità.
Stravaccato su una seggiola, un nano barbuto lo scrutò stupito, il boccale colmo di birra fermo a mezz’aria.
Un guerriero villoso smise di roteare la mazza con la quale si allenava menando colpi contro un manichino di legno.
Un’elfa dalla pelle diafana, immersa in una tinozza di metallo, si coprì il seno con le braccia, strillando: «Ehi, che diamine! Un minimo di privacy!».
Attonito, si sentì chiamare: «Che fai, Alessandro Spaccaossa? Sei in ritardo oggi!».
Mentre guardava il vecchio mago dal cappello a punta, un sorriso di felicità illuminò il volto del bambino.
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