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RAGNATELE
di Mauro Barbetti
Si presentava ogni giorno verso le quattro, taccuino in mano.
Mi consegnava un foglietto con un elenco di titoli in incerta grafia.
Spesso avevo cercato di cogliere nessi in quelle richieste così diverse: doveva pur esserci qualcosa che legava saggistica a poesia, letteratura contemporanea a classici, storia a scienze naturali.
Era una sorta di thriller per un bibliotecario come me, di cui non riuscivo a venire a capo. Neppure una volta mi ero sentito vicino a formulare ipotesi plausibili su quelle letture, a intuirne la logica. Lo vedevo girar pagine, fare confronti, trascrivere qualcosa, fin verso le sette, quando borbottava qualcosa che doveva essere un saluto e se ne andava.
Avevo provato a intavolare un minimo di conversazione, tentato la carta dell’affabilità, ma l’uomo aveva sempre rifuggito qualsiasi chiacchiera amichevole, qualsiasi dimestichezza, per concentrarsi solo nelle sue letture.
Poi capitò qualcosa.
Era un pomeriggio estivo gonfio di calore appena assorbito dallo spessore dei muri.
Lui era lì, come solito, a saltellare tra pagine sbiadite e altre più fresche di stampa.
Io sbirciavo come sempre da lontano, con le mie investigazioni intorpidite dal caldo.
Il primo sbandamento fu impercettibile, come un soffio che sposti leggermente una tenda; poi, dopo qualche attimo, seguì la caduta.
Corsi immediatamente, gli sollevai le gambe con una mano e con l’altra composi il 118 al cellulare. Il respiro era affannoso, mi guardava con occhi fluttuanti, i minuti passarono con lentezza esasperante, fino a che si udì un suono di sirena e lo sbattere di una barella nella scala interna.
Ripartirono con la massima urgenza e il silenzio tornò a farsi largo nella biblioteca.
Sul tavolo era rimasta l’essenza sparsa di una vita, volumi aperti, matite, fogli e il suo quadernetto.
Feci ciò che dovevo, riposi il libri secondo codice, poi mi avvicinai al quaderno. Sembrava mi chiamasse, mi sfidasse. Alla faccia della privacy iniziai a sfogliarlo.
La sorpresa fu grande allorchè vi scorsi poche parole, collegate tra loro da esili linee come una ragnatela. Tutte quelle letture mirabolanti avevano dunque dato origine solo a quel parto striminzito? Ero deluso.
Il giorno dopo comprai il giornale cercando informazioni sulla cronaca locale.
“Giorgio Tosin, poeta tra i più raffinati, è stato ricoverato d’urgenza al policlinico causa malore. I medici stanno monitorando il quadro clinico, ma il paziente sembra ormai fuori pericolo.”
Ecco dunque chi era!
Mi decisi a fargli visita, in fondo un po’ di merito, se era ancora in vita, era pur mio.
L’ospedale non è luogo da discorsi e confidenze, perciò fui sorpreso dall’insolita cordialità con cui il poeta mi accolse.
– Mi ha riportato il mio quaderno, vero? – chiese speranzoso.
Mi feci coraggio – Eccolo, deve scusarmi, ma l’ho aperto. Solo per cercare il suo nome o qualcosa che potesse essere utile qui in ospedale, naturalmente. E ho visto quelle ragnatele di parole… –
– Già, è tanto che mi accompagnano le parole, una vita intera di ricerca, scoperta e recupero di ragnatele, come dice lei –
– Ma, scusi la domanda, non basta un semplice vocabolario, per cercare parole che possano suscitare il suo interesse? –
– Su un vocabolario non è la stessa cosa. Le parole hanno bisogno di legami, di corrispondenze che ne amplifichino o ne precisino il significato, hanno bisogno di trovare contesti, di risuonare in parole vicine, di invadere territori tra loro distanti, di farsi a loro volta universo, diventare geografia umana, geometria non euclidea o chissà cos’altro, di scivolare nella cronaca o elevarsi in filosofia, solo alla fine possono essere spillate fuori come il vino buono dentro le botti quando è ora. Poi, è molto più divertente leggere libri che vocabolari, dovrebbe saperlo! Non posso fare a meno di parole, ne ho bisogno per respirare, per amare, per definirmi nel mondo. E anche per uscire al più presto di qua –
Mi porse un foglietto con un nuovo elenco di libri.
– Me li può portare entro domani, vero?-
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