Concorso Letterario LA LETTURA – La Grande Crisi della Lettura di Alex Calvi

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LA GRANDE CRISI DELLA LETTURA

di Alex Calvi

Quando mi sveglio, la mattina, sono sempre rincoglionito, come se avessi appena terminato un incontro di boxe con Mike Tyson. Quella volta non fece eccezione.

Tra uno sbadiglio e l’altro feci per prendere gli occhiali, invece mi trovai in mano un libro. Lo guardai. Sapevo cosa doveva esserci scritto: “20’000 Leghe sotto i Mari”. Eppure riuscivo a leggere solo il numero.

Diedi la colpa al sonno. Ogni neurone del mio cervello urlava: “CAFFÈ!”.

Ero certo che dopo, tutto sarebbe andato a posto.

Mi sbagliavo.

Le scritte sul caffè, sullo zucchero, in giro per la cucina: non riuscivo più a leggerle. Sapevo la forma che dovevano avere le lettere, ma mi apparivano come serpenti colorati che sgusciavano, strisciavano, si incrociavano, senza fermarsi mai.

Cominciai a preoccuparmi.

Mi accorsi solo in quel momento che fuori i rumori erano molto più alti del solito.

Credevo che certe scene di panico si vedessero solo in tv, invece aperta la finestra mi trovai di fronte un colossal di Hollywood. Mancavano solo un paio di idranti che sparavano colonne d’acqua verso il cielo e il quadro era perfetto.

Che ci faceva tutta quella gente in strada? Neanche loro riuscivano più a leggere? Ma se metà di loro non leggeva neanche prima! Poi notai la mia vicina, vestita di tutto punto che si faceva intervistare, col mascara colato strategicamente sul volto, e capii che era solo un altro modo per farsi vedere. Come quelli che vanno al cimitero solo il giorno dei morti, col vestito di gran gala.

Accesi la tv. Non era solo il mio quartiere o la città, era globale.

I giorni successivi furono terribili.

I sondaggi lo ripetevano da anni: leggiamo sempre meno. Nessuno, però, si aspettava che dimenticassimo del tutto come si fa da un giorno all’altro.

Non esistevano piani di emergenza.

Tutto si bloccò in quella che i media chiamarono “La Grande Crisi della Lettura”.

Laboratori di ricerca di tutto il mondo annunciarono esperimenti per capire e risolvere il problema. I complottisti non si fidarono, loro avevano già la verità in tasca: era colpa delle scie chimiche! No, dei vaccini! Era un incantesimo delle sirene. O un piano segreto dei rettiliani in combutta coi grigi.

Le religioni, invece, avevano le idee chiare, la risposta fu unanime: “È la volontà di Dio!”. Ma suonava come: “Non ci abbiamo capito niente!”.

In quel crogiuolo di domande senza risposta nacquero nuove sette: chi bruciava gli ormai inutili libri e chi, invece, cercava di portarli a memoria perché non andassero persi per sempre.

Non mancarono gli effetti sulla vita di tutti i giorni.

I medici cominciarono a registrare a voce le ricette; ne furono felici i farmacisti, non più costretti a decifrare i loro incomprensibili geroglifici.

Alcuni partecipanti di reality-show la presero molto male: non aver mai letto un libro rischiava di diventare  la normalità.

I processi vennero sospesi, in attesa di capire come potessero giudici e avvocati leggere sentenze,  ordinanze e commi divenuti a un tratto incomprensibili anche a loro, come lo erano sempre stati per tutti gli altri.

Ovviamente rimaneva da capire se quella pausa avrebbe influito o meno sui tempi della prescrizione e questo scatenò un vero e proprio vespaio in parlamento. L’incapacità di leggere colpì anche i politici, ma loro, chissà come mai, non sembrarono neanche accorgersene.

A livello internazionale, invece, fu una manna dal cielo. Ambasciatori e capi di stato furono improvvisamente costretti a parlarsi, invece di nascondersi dietro a comunicazioni scritte. Scoppiò la pace.

Quarantadue giorni dopo, così come era iniziata, la Crisi finì.

Il mondo tornò alla normalità.

Ma cosa l’aveva provocata? Cosa l’aveva fermata? Sarebbe successo di nuovo? Perché proprio quarantadue giorni?

Ancora non si sa.

Chi ci guadagnò di più furono le librerie, letteralmente prese d’assalto come una boutique il primo giorno di saldi. Perché non ci accorgiamo mai di quanto abbiamo bisogno di qualcosa, finché non rischiamo di perderla.

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