Il cinema epico di Brady Corbet colpisce al cuore per la drammatica architettura e due attori protagonisti di rara bravura.
La locandina italiana del film The Brutalist.
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Brady Corbet
CAST: Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Stacy Martin, Emma Laird, Isaach de Bankolé, Alessandro Nivola
DURATA: 215 minuti
DATA DI USCITA: 6 febbraio 2025
DISTRIBUTORE: Universal Pictures
RECENSIONE
László Tóth ha vissuto molte vite. Architetto della scuola Bauhaus nell’Europa anteguerra, ebreo ungherese deportato dai nazisti a Buchenwald, emigrante disprezzato nell’America del 1947. Manovale squattrinato eroinomane, amante della musica jazz e dell’autodistruzione. Infine l’occasione di ritornare alla propria arte e poi l’ascesa, il successo e la caduta in cui ogni cosa si sgretola, ancora e ancora.
Adrien Brody in una scena di The Brutalist © Universal Pictures.
Un percorso sanguinante e doloroso che ha tutto il sapore della beffa del destino perché László Tóth, in realtà, non è mai esistito se non in The Brutalist, nel film e nella mente del regista Brady Corbet.
A impersonare questo errante immaginario ma più vero del vero è il premio Oscar Adrien Brody. È László Tóth, artista ossessionato dalla simmetria e dall’arte perduta che, nel momento della massima miseria e abiezione, incontra il miliardario Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce). L’impatto con Van Buren, un uomo altrettanto ossessionato ma dal potere sconfinato della sua stessa ricchezza, nasce da una incomprensione e si trasforma in una bella amicizia.
È lui a riconoscere in László l’opera di un genio dell’architettura. È lui a dargli un lavoro, una dignità. A ottenere il visto per l’invalida moglie Erzsébet Tóth (Felicity Jones) che può finalmente raggiungere il marito che non vede da anni. È sempre lui a proporgli un progetto ambizioso e spericolato: la costruzione di un immenso e magniloquente edificio multifunzionale. Una impresa titanica che László abbraccia con tutto sé stesso. Ma i veti continui alla sua creatività per contenere i costi, l’ottuso buonsenso di fronte alla sua audacia architettonica e il fantasma mai sopito degli anni passati nel campo di concentramento, logorano il suo animo. Quando Van Buren si rivela essere ben diverso da quel mecenate illuminato e amichevole, László viene completamente investito dai suoi demoni.
Adrien Brody e Guy Pearce in una scena del film The Brutalist © Universal Pictures.
The Brutalist, straordinaria e magniloquente epopea di Corbet dalla durata altrettanto straordinaria – 215 minuti – scritta a quattro mani con Mona Fastvold, sceneggiatrice nonché sua compagna, ha già ricevuto tutti i premi e gli onori dovuti a un’opera di rilievo (Leone d’argento a Venezia e 10 nomination agli Oscar 2025).
Il film e l’immaginario László Tóth contengono molte fonti di ispirazione – una su tutti, La fonte meravigliosa di King Vidor – e altrettante metafore. L’eterna battaglia tra arte e business è quella che sta più a cuore a Corbet. Non a caso, il genere architettonico scelto, quel Brutalismo fatto di respingente ferro e muri di cemento armato, è rigoroso quanto ostico da comprendere. Sono i soldi di Van Buren a comprare l’amicizia e la fiducia di Tóth, e i soldi sono la metafora con cui il nuovo mondo – il capitalismo americano – guarda con fastidio e superiorità un’Europa a pezzi, calpestandone storia e bellezza. Sono i ricchi osservati e descritti da Truman Capote, quelli che si fanno costruire la propria Xanadu privata come Charles Foster Kane.
Un momento del film © Universal Pictures.
Non manca il dramma universale degli ebrei tra le terre di nessuno, traditi dai propri vicini di casa e accolti con fastidio da un mondo di promesse non mantenute. Ed è il dolore più intimo, ricordo del campo di prigionia, quello che Tóth disegna per l’edificio: le stanze strette con sproporzionati soffitti altissimi permettono di continuare a guardare il cielo anche quando reclusi.
Altrettanto metaforica la scelta di girare nel formato Vista Vision non solo per l’aderenza filologica ma per ridare allo spettatore lo sguardo espanso che merita. Un ritorno al cinema radicale, a una Hollywood più coraggiosa e meno schiava del marketing e della ricerca di consensi.
Nonostante qualche ridondanza di troppo, in particolare nella più ossessiva seconda parte e sul finale fin troppo edificante, l’ambizione di Corbet riesce a raggiungere magnificamente il suo scopo. The Brutalist abbaglia dal suo schermo infinito con scelte stilistiche davvero felici. La migliore? Aver messo in coppia il sempre perfetto Adrien Brody e un incredibile Guy Pearce. Se il lavoro di Brody è stupefacente, as usual, il Van Buren di Guy Pearce muove commozione e odio allo stesso tempo. Date un Oscar a quest’uomo!
Silvia Levanti
TRAILER UFFICIALE
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