Recensione di Joker – Folie à deux, il film con Joaquin Phoenix e Lady Gaga solo al cinema dal 2 ottobre 2024.
SCHEDA DEL FILM
REGIA: Todd Phillips
CAST: Joaquin Phoenix, Lady Gaga, Brendan Gleeson, Catherine Keener, Zazie Beetz
DURATA: 138 minuti
DATA DI USCITA: mercoledì 2 ottobre 2024
DISTRIBUZIONE: Warner Bros Italia
RECENSIONE
Arthur Fleck, noto come Joker, il serial killer che ha terrorizzato Gotham City, è recluso nell’ospedale psichiatrico di Arkham in seguito al suo arresto. In attesa del processo conosce Harley Quinn, la persona che ha sempre sognato di incontrare. I due si riconoscono e si comprendono alla perfezione, fra loro nasce una sintonia straordinaria e Arthur pensa di essere finalmente visto, riconosciuto e accettato: ma Lee è innamorata di lui o del Joker?
Todd Phillips porta alla Mostra del Cinema di Venezia il secondo capitolo dedicato al celebre antagonista della DC Comics, uno dei più controversi e cupi, il Joker. Con lo stesso impianto estetico del primo, Joker – Folie à deux è ancora una volta un dramma intenso, oscuro, un viaggio nella mente e nell’inconscio di un uomo umiliato, arrabbiato, stanco, bisognoso di vendetta ma soprattutto di amore. No, non di vendetta. Di giustizia.
Il Joker di Phillips è l’outsider per antonomasia, un uomo che neanche nella rivincita (la rivoluzione che scatena alla fine del primo film) riesce a trovare il suo posto nel mondo, perché anche quando si trova sullo scalino più alto quello che continua a provare è il disagio. Disagio fisico, mentale, relazionale. Un disagio da cui sembra non ci sia un’uscita.
Una ci sarebbe: l’amore. Ma esiste l’amore vero? Tematica quanto mai attuale che il regista intreccia con quella dell’identità, dell’apparenza, dell’essere se stessi e del costume che tutti noi indossiamo. È ancora possibile amare davvero in una società in cui quello che conta è come appariamo, non chi siamo?
Il personaggio che avete amato nel primo capitolo dimenticatelo: Todd Phillips fa una cosa che forse in pochi si aspettavano, facendo uscire di scena il Joker per lasciare il posto a Arthur Fleck. Il regista smonta la maschera e ricostruisce il volto. Non è il Joker a lottare contro le ingiustizie, gli abusi, il sensazionalismo, le dirette tv, le domande scottanti e il gossip: è Arthur Fleck, che vorrebbe solo gli venissero fatte delle domande vere.
Il contesto urbano messo in scena nel film ancora una volta è decadente, nero, opprimente, immerso nella nebbia e nel fumo, scuro. Un luogo dove non c’è posto per l’amore né per la speranza, eppure Arthur Fleck, l’ultimo degli ultimi, che di amore non ne ha avuto mai, continua a crederci, continua a sperare.
Quello che Todd Phillips realizza è un viaggio immersivo nell’abisso mentale di Arthur Fleck, a cui Joaquin Phoenix dà un volto scavato e un corpo umiliato reggendo solo e unicamente sulle sue spalle 138 minuti di film in cui la sua magra e disturbante figura riempie lo schermo con una grandezza attoriale difficile da eguagliare.
Accanto a lui, Lady Gaga offre un’interpretazione straordinaria (sebbene non riesca a eguagliare i suoi livelli) e trasporta la drammatica favola nera dell’antieroe triste in una nuova dimensione, quella del musical. Non è bizzarro? È un’idea rischiosa, quella di mescolare il genere per eccellenza del divertimento, dell’entertainment e del lieto fine con una storia così cupa. Il regista corre un grande rischio ma la voce di Lady Gaga era un piatto troppo ricco per non essere servito. E il senso di questa scelta è così sottile e tragicamente azzeccato.
La presenza della star trasforma dunque un profondo dramma in un’opera cantata, regalando alla pellicola momenti di indimenticabile emozione, perché è proprio nei momenti musicali che ci immergiamo, nel bene e soprattutto nel male, nella mente e nei pensieri di Arthur Fleck. Quando le sue inesauribili speranza e fantasia (caratteristica che ricorda un altro grande personaggio tragico, Jay Gatsby) lo portano a evadere dalla sua esistenza fredda e solitaria, ma anche quando la disillusione e il ritorno alla realtà diventano tormento mortale, riportandolo alla gabbia della solitudine.
Quella che forse è la più aspra critica mossa al film (il fatto di essere un musical) è in realtà la sua più grande genialità, proprio perché in realtà il regista sembra scegliere questo genere per criticarlo. O meglio, più che criticare il genere ne critica l’umanità che spesso viene in esso rappresentata: il sorriso a tutti i costi, il perbenismo, il dover sempre essere colorati e allegri, l’obbligo dell’Happy Ending.
Lo dimostra l’ultima sequenza in cui Arthur Fleck (il cui nomignolo è ironicamente proprio Happy), che si è appena – in modo metaforico – tolto il trucco da Joker, cosa chiede a Lee? Di smettere di cantare. Basta con le finzioni, parlami, non cantare. Ma lei non smetterà, continuerà a cantare, continuerà a fingere. E così lui alla fine sarà l’unico a rimanere se stesso, quando tutto e tutti gli chiederanno il contrario, lui sarebbe pronto ad andare incontro alla pena di morte piuttosto che spezzarsi e mentire di nuovo.
È questa la tematica più importante del film, la contrapposizione fra chi siamo veramente e chi gli altri vorrebbero che fossimo, in un mondo dove tutto è performance. Joker e Lee vivono continue performance reali e immaginarie, ma mentre lei si domanda cosa direbbero gli amici se potessero vederla, sognando il momento in cui riuscirà finalmente a suscitare invidia nelle persone che un tempo la consideravano un nulla, lui semplicemente dice a se stesso di ricordarsi di sorridere, perché se ridi il mondo riderà con te, se piangi piangerai da solo.
Il realismo è vibrante, dall’ambientazione, agli alti e bassi di Arthur Fleck, spezzato in due ma comunque in piedi, così desideroso di giustizia e verità da decidere di auto-difendersi e auto-rappresentarsi durante il processo, perché si sa, gli avvocati mentono e lui non ce la fa più. Lo ripete continuamente.
Perché sta avvenendo la sua trasformazione. Eccola qui la decostruzione del personaggio del Joker. Arthur Fleck non ce la fa più, è stanco di doversi continuamente adeguare a una narrazione di sé che non lo rappresenta e che altri hanno creato per lui. Ed è così struggente quel momento, perché lui fa esattamente il contrario di ciò che anche noi come spettatori ci saremmo aspettati e probabilmente avremmo voluto. Invece di salvarsi la pelle con il personaggio, soccombe con l’uomo.
E ciò che forse è ancora più struggente è il momento in cui realizza che quella che pensava essere la storia d’amore che lo avrebbe salvato, dove finalmente sentirsi accettati, visti e accolti, altro non è se non una idealizzazione. Perché Lee non è innamorata di Arthur ma di Joker, di un’idea, una maschera, un trucco. È questa la realizzazione che lo porterà alla rovina, come se ormai si fosse spezzata anche l’ultima speranza di vivere una vita degna di essere vissuta, di amare e di essere amato, tutte cose che Arthur Fleck non ha mai avuto.
E infatti è l’unico che quando piove non si copre, non si protegge. Arthur Fleck è l’unico a camminare sotto l’acqua senza ombrello. Non crede di meritare neanche quello. Ma nonostante questo lui guarda in alto, il cielo, e si gode l’acqua piovana come se fosse un piccolo regalo che lui può avere e gli altri no.
Questo è ciò che si chiama avere una fervida immaginazione. Immaginare a tal punto da trasfigurare la realtà per renderla perlomeno accettabile. Ridere con una risata che in realtà è un pianto, indossare una maschera che in realtà è una malattia mentale, continuare a sperare, sognare e ballare il tip tap per far ridere gli altri nonostante non ci sia un angolo del proprio corpo che non sia stato abusato.
E alla fine da “The Show Must Go On” si passa a “That’s All Folks”, perché non c’è più niente da dire quando si è se stessi, lo spettacolo non può proseguire, il sipario cala e si esce di scena.
Margherita Giusti Hazon
TRAILER UFFICIALE
Laureata in Lettere Moderne, Margherita lavora alla Fondazione Cineteca Italiana, collabora con la rivista Fabrique du Cinéma, ha in corso alcuni progetti come sceneggiatrice e ha pubblicato il suo primo romanzo, CTRL + Z, con la casa editrice L’Erudita.
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