Recensione dello spettacolo La Buona Novella in scena al Teatro Carcano dal 18 al 23 aprile 2023.
Si parla spesso, e io stessa mi sono ritrovata più volte a usare questa espressione, di magia del teatro. Potrebbe sembrare un semplice modo di dire, un accostamento dal sapore di cliché per riempirsi la bocca. E invece è tutto vero.
Soprattutto da quando scrivo per MaSeDomani, soprattutto da quando grazie agli articoli che ho il piacere e l’onore di scrivere frequento di più l’ambiente teatrale, ogni volta che varco la soglia di un teatro provo un tuffo al cuore.
Mi emoziono già soltanto a tenere in mano il biglietto che è generosamente tenuto da parte per me e quando mi siedo su una di quelle comode poltrone in attesa dell’inizio, mi lecco metaforicamente i baffi come se fossi in attesa di una cena gourmet.
Poi si abbassano le luci, si alza il sipario e i pensieri sul “di fuori” non esistono più. C’è solo “il dentro”. C’è solo lo spettacolo, c’è solo il teatro. E ogni parola, ogni suono, ogni gesto diventa parte di un dialogo infinito che tocca le corde del mio cuore.
La sera di martedì 18 aprile il mio cuore ha battuto più forte e più velocemente, mentre sul palco di fronte a me si consumava uno splendido spettacolo. Una Buona Novella di nome e di fatto.
Tutto di quella splendida esperienza, procuratami dal gentile invito del Teatro Carcano, è stato perfetto. E spero di riuscire con le parole a esprimere la mia gratitudine e la mia ammirazione per quanto ho visto e ho sentito.
Non sono certa di riuscirci, ma farò di tutto per riuscire a comunicare a voi lettori le mie emozioni, perché come diceva il Sommo Poeta:
trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba.
Partiamo dalla prima cosa che mi ha colpito de La Buona Novella già all’alzata del sipario: la scenografia. Essenziale, eppure particolarmente significativa e simbolica.
Come elemento fisso vi era un arco, una porta dorata che segnava l’ingresso e l’uscita dei personaggi da una fase della vita all’altra. Sempre ad arco erano disposte le sedute dei vari interpreti, accanto ai quali vi erano i vari strumenti.
In certi momenti, appariva una rosa su una scala, a simboleggiare Cristo (facile ma efficace similitudine quella tra le spine della rosa e della corona che viene posta al figlio di Dio crocifisso).
Semantizzata al massimo la luce dai colori cangianti che segnava non solo lo scorrere del tempo, ma anche i sentimenti dei personaggi.
Su tutta la scena dominante la figura di Neri Marcorè, attore e interprete delle canzoni de La Buona Novella.
Unico uomo, assieme al pianista, attorniato da donne; unica voce maschile in mezzo a voci femminili di differenti registri.
Neri Marcorè rende benissimo i toni di De André e, seppur nei passaggi più drammatici non abbia la stessa secchezza vocale, elemento distintivo del cantautore, la sua voce emoziona e fa gridare alla quasi resurrezione.
La resa strumentale dei pezzi resta fedele all’essenzialità originaria: gli strumenti, dal piano alle chitarre, alle percussioni, accompagnano le voci, vere protagoniste della narrazione, e gli unici assoli strumentali sono quelli del violino.
Le voci femminili, perfette in polifonia, tutte molto piacevoli e melodiose, perdono un po’ in alcuni punti, negli assoli, per l’eccessivo vezzo, di moda attualmente, alla modulazione, che a mio avviso tradisce un po’ quell’essenzialità anche vocale di De André in cui la voce cerca di narrare nel modo più piano e, spesso, impersonale storie che parlano da sole e che emozionano già negli accostamenti verbali, senza che ci sia quel gran bisogno di sottolinearle con particolari orpelli.
Ho particolarmente apprezzato le scelte di regia per la struttura dello spettacolo, che, almeno per me, all’inizio è stata un po’ spiazzante. Mi sarei aspettata un ordinato alternarsi di parti cantate e parti recitate, un botta e risposta a mo’ di partita di tennis, e invece Giorgio Gallione opta per una mise en scène molto più originale.
Dopo il primo brano introduttivo, Laudate Dominum, Neri Marcorè inizia il suo quasi monologo, raccontando passi dei Vangeli apocrifi e spingendosi fin quasi alla nascita di Gesù.
Questo mi ha fatto pensare che si fosse scelto di eseguire solo alcuni brani e altri raccontarli. Il che mi aveva un po’ intristito, perché L’Infanzia di Maria e Il Sogno di Maria sono tra i miei preferiti. Quando avevo perso le speranze, ecco che, colpo di scena, comincia L’Infanzia di Maria e vengono eseguiti tutti i brani del lato A dell’album, in un continuum rispettoso e più consapevole, grazie alle indicazioni della parte recitata.
Prima di cominciare i brani del lato B, in cui avviene un bel salto cronologico, visto che dalla nascita di Cristo si passa direttamente alla Passione, Neri racconta episodi dell’infanzia di Gesù tratti dai Vangeli apocrifi, che strappano a tutti il sorriso e che, come sottolinea l’attore, rendono più umano il figlio di Dio, che nella sua integrità e onniscienza raramente riesce simpatico.
Poi cominciano i brani cantati, questa volta accompagnati da brevi inserti recitati, tra cui spicca un drammatico Planctus Mariae, anche questo figlio di una tradizione poco scritturale, ma che ancora una volta fa scendere dal piedistallo la Vergine e la rende eguale a tutte le madri che hanno la sventura di sopravvivere ai propri figli.
Lo spettacolo si chiude con un accaloratissimo Laudate Hominem che emoziona e commuove tutto il pubblico e che ottiene meritatissimi plausi e standing ovation.
Davvero uno spettacolo meraviglioso che scalda il cuore e dà un senso a un’ora e mezza in cui mai ci si annoia.
Come ha detto la mia accompagnatrice, l’unica difficoltà è non mettersi a cantare assieme agli interpreti.
Francesca Meraviglia
Si ringrazia l’ufficio stampa del teatro per l’opportunità e il supporto iconografico.
Francesca è un’insegnante e un’appassionata di cultura in generale. Si emoziona di fronte a un testo ben scritto e versa sincere e calde lacrime quando un’opera d’arte le comunica emozioni. Canta a livello amatoriale e crede che la lettura sia il modo migliore per stringere legami forti.
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